Celti e Reti. Interazioni tra popoli durante la seconda età del ferro in ambito alpino centro-orientale
Il volume sarà presentato mercoledì 24 maggio alle 17 presso lo Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas, a Trento
Mercoledì 24 maggio alle 17 presso lo Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas, a Trento, sarà presentato il volume
Celti e Reti. Interazioni tra popoli durante la seconda età del ferro in ambito alpino centro-orientale di Rosa Roncador, edito da BraDypUS. In dialogo interverranno FRANCO MARZATICO, Dirigente della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trent,o, FRANCO NICOLIS, Direttore dell’Ufficio beni archeologici della Provincia autonoma di Trento, SIMONA MARCHESINI ,Coordinatore scientifico di Alteritas - Interazione tra i popoli.
Pubblichiamo il seguente saggio, tratto dalla prefazione al volume scritta dal Prof. Daniele Vitali – Université de Bourgogne, Franche-Comté, Dijon
“Da un quarto di secolo assistiamo, impotenti e senza vederne la fine, alla migrazione di migliaia di persone che attraversano il Mediterraneo su mezzi di fortuna alla ricerca di un mondo per loro migliore. Una migrazione scomposta e senza regole, talora arrogante ma non violenta, molto eterogenea, che approda nel Sud del nostro Paese con la speranza di disperdersi nell’Eldorado d’Europa, o meglio in quello che queste genti credono essere per loro un futuro meno povero e disperato di quello che lasciano alle spalle. Nelle rispettive regioni d’origine la miseria o i conflitti politici, interetnici, religiosi, sui quali agiscono potenze e interessi economici esterni, obbligano a mettere in salvo se stessi e ciò che resta delle proprie famiglie: donne e bambini che forse saranno raggiunti in futuro da mariti e padri. In Italia, il primo choc di tale fenomeno si ebbe agli inizi degli anni ’90, quando, con la caduta della Repubblica Popolare socialista di Albania (1991), ebbe inizio la grande migrazione di Albanesi attraverso il mare fin sulle coste adriatiche dell’Italia - prima 27.000 persone da Durazzo a Brindisi e pochi mesi dopo circa 20.000 persone approdate a Bari. L’attuale stima degli Albanesi residenti in Italia ammonta a circa 500.000 unità.
Dovendo introdurre questo volume ho voluto ricordare eventi a noi contemporanei e che ci coinvolgono molto profondamente, solo per dare un’idea - credo molto pallida - delle situazioni di conflittualità, del clima di panico e delle paure che si dovettero creare in Italia all’arrivo in massa di centinaia di migliaia di barbari del Nord.
Galli per i Romani, Celti/Galati per gli autori greci, barbari che, a ondate successive, per molte decine di anni, inarrestabili come fiumi in piena, tra gli ultimi decenni del V secolo e l’ultimo quarto del III sec. a.C. (a dire il vero fino a poco prima della fondazione di Aquileia) fecero irruzione nelle terre fertili della Cisalpina per rimanervi stabilmente. Furono vere migrazioni, trasferimento di molte e numerose comunità organizzate transalpine; le migrazioni non furono invenzioni degli scrittori antichi né… degli archeologi di oggi.
Alcune differenze importanti con l’attualità: la conquista violenta e armata contro la richiesta di soggiorno di oggi, sostanzialmente pacifica; la ferma volontà di colonizzare terre fertili insediandosi al posto delle popolazioni preesistenti; la fama volitans per campos, di fattoria in fattoria, da comunità a comunità, da città a città, solo mezzo di informazione contro i media di oggi, in diretta e a grande scala, con la conseguenza di un panico diffuso per un pericolo incombente, non valutabile e inevitabile: in attesa di percepire all’orizzonte i contorni e i rumori di decine di migliaia di persone, uomini, donne, bambini, animali, che avanzano. Alcuni eserciti cittadini pronti a reagire e a resistere ci furono: dagli Etruschi, dai Veneti… ma non fu sufficiente.
La configurazione del popolamento nell’Italia centro-settentrionale pre-romana era essenzialmente rurale, a maglie più o meno larghe, con aree vuote, altre a maggiore densità demografica, con agglomerazioni più cospicue in punti nodali, qualche polo urbano che venne sintetizzato nella formula della “dodecapoli” etrusco-padana; con città, nuclei polari di un territorio, sedi dei grandi poteri e delle principali attività economiche, legate da una rete itineraria efficace e funzionale, di strade, ponti, sentieri.
Tutt’intorno vaste regioni addomesticate dall’uomo, produttive dal punto di vista dell’agricoltura e dell’allevamento, razionalmente organizzate, ma anche ampie terre allo stato selvatico o di incolto.
Se poniamo noi stessi in rapporto con le mobilità incontrollate del nostro presente, il sentimento di metus gallicus di allora, di un nemico incombente, sconosciuto, dedito alla guerra e determinato alla conquista perpetua di terre a sfruttamento agricolo a tutti i costi, è per noi appena percepibile. Il rischio, allora, era la perdita dei propri beni, della terra, del bestiame e della vita. La diplomazia non dovette essere esattamente il modo di rapportarsi dei barbari alle realtà esistenti; basterebbe ricordare il testo di Livio che descrive le richieste dei Celti agli Etruschi di Chiusi: tante terre incolte nel loro territorio…quale problema a cederle pacificamente ai Celti? In caso contrario le armi sarebbero state inevitabilmente un buon argomento di persuasione (Liv. V, 36, 2; 37).
L’impatto di tali barbari sulle popolazioni dell’Italia centro-settentrionale fu di lunga durata e soprattutto dinamico; almeno 5/6 generazioni di cisalpini e centro-italici vissero l’insicurezza di guerre, tregue di pace, mediazioni diplomatiche, nell’ansia di nuove aggressioni, adattandosi al corso della storia che dalla metà del IV sec. a.C. fu pilotato lucidamente da Roma, la quale cominciò a celebrare trionfi, pare, dal 367 a.C. (per gli anni precedenti non ci restano documenti) fino all’inizio e fine del II sec. a.C.
I Fasti triumphales - nello stato in cui sono giunti a noi (e nonostante le lacune per il IV sec. a.C.) - registrano almeno tredici trionfi riportati da viri triumphales sui Galli, sia nella loro globalità (de galleis) sia nelle loro specificità tribali (de Boiis, de Karneis, de Insubribus, de Germaneis/(se non piuttosto Cenomani!).
Roma riuscì a costruire nell’immaginario collettivo il nemico comune (i Galli) contro il quale fu (e sarebbe stato) lecito battersi fino all’ultimo per sterminarlo.
Dopo l’inizio delle invasioni del IV secolo a.C. la vita urbana di gloriose città etrusche come la mitica Melpum o la più reale Felsina si spense o si attenuò e, in poco tempo, cambiarono gli assetti del popolamento, la varietà delle etnie e delle lingue, le identità di alcuni centri urbani risorti a nuova vita e con nuove energie (Spina, Adria, Mantova per esempio), le forme economiche locali e i contenuti degli scambi a più lunga distanza di uno dei settori che era stato tra i più fiorenti dell’Italia antica.
Nel passato più recente l’Italia del nord era stata la piattaforma per gli scambi con le élites e le famiglie aristocratiche (celtiche) transalpine; qualche generazione più tardi, una meta per chi cercava l’Eldorado.
L’inserimento di etnie di barbari a sud delle Alpi non avvenne solo con la modalità migratoria, cui abbiamo accennato e che fu certamente il fatto di maggior peso.
Altre formule furono quelle di trasferimenti di piccoli gruppi (élites guerriere o artigiane) presso etnie locali consolidate e forti, come nell’area di Golasecca, della Liguria, nel Veneto, in area picena o presso gli Etruschi di area padana, fino a realtà più distanti come a Volsinii se non anche a Caere.
Ciò era avvenuto già nel corso del VII sec. a.C. ma si verificò anche in seguito; si trattò di piccoli gruppi, che possiamo riconoscere da usanze funerarie specifiche, da testimonianze epigrafiche con formule onomastiche o dalle due cose insieme.
L’apertura del mondo etrusco-padano verso le élites a Nord delle Alpi, aveva comportato reciprocità di relazioni e di scambi e quindi anche la mobilità e l’installazione di stranieri che si integrarono nelle società che conoscevano e dalle quali furono accolti. L’artigiano elvezio Elicone che si installò a Roma nel V sec. a.C., secondo quanto racconta Plinio il Vecchio, è un esempio emblematico dell’inserimento di barbari nelle società dell’Italia antica. In questo caso addirittura nella città che poco dopo sarebbe stata conquistata e saccheggiata da altri Celti!
Potremmo pensare a storie parallele a quella del ricco Demarato di Corinto, il quale, per ragioni politiche, dovette lasciare la sua città natale per installarsi, fare famiglia e nuova fortuna in una grande città etrusca (Tarquinia), con la quale da lunga data intratteneva fiorenti rapporti commerciali. Il suo secondogenito (nato a Tarquinia e di sangue greco-etrusco) partì per Roma per diventarne primo re etrusco: Tarquinio Prisco (616-579 a.C).
Purtroppo le fonti letterarie non ci parlano di queste microstorie, così lontane dall’epoca nella quale gli scrittori latini o greci cominciarono a raccogliere le memorie passate, pur se attraverso accurate ricerche su fonti anteriori (Timagene) o su archivi di grande antichità.
La fonte più produttiva per portare luce su queste zone di buio, rimangono dunque la documentazione archeologica e un lavoro di interazione critica coi dati dell’epigrafia e della storiografia antica.”
19/05/2017