Il Santuario di San Romedio e i Thun

“Anche senza essere dei romantici non si riesce a sottrarsi alla poesia di questo luogo profondamente suggestivo" 

In uno dei suoi “viaggi pittorici”, compiuti tra il 1802 e il 1811 alla ricerca di luoghi pittoreschi da fissare sulla tela, il paesaggista bellunese Pietro Marchioretto (1761-1828) s’imbattè anche nel santuario medievale di san Romedio, da secoli meta di devoti pellegrini e di viaggiatori curiosi. Nella veduta, tratta con ogni probabilità da un disegno preparatorio fatto sul posto, l’autore ci restituisce un’immagine presa di scorcio dalla ripida strada d’accesso. L’eremo, costituito da cinque cappelle e da altri fabbricati di servizio sorti in epoche diverse, appare aggrappato all’altissima rupe, circondato da scarpate rocciose coperte da boschi secolari, tra le quali scorre il corso d’acqua, e immerso in un cielo terso. “Anche senza essere dei romantici - scriveva Simone Weber nel 1938 - non si riesce a sottrarsi alla poesia di questo luogo profondamente suggestivo, pieno di storia, di fede e di quiete, non rotta che dal mormorio del torrente che lambisce la strada”.

Con il conferimento ai Thun, nel 1471, della Giurisdizione tirolese di Castelfondo alla quale apparteneva il romitaggio, la storia di questo luogo di fede tra i più affascinanti delle Alpi s’intreccia indissolubilmente con le vicende dell’importante casata d’Anaunia. Nel 1513 i fratelli Cristoforo e Bernardino Thun offrirono la loro disponibilità ad aumentare la rendita per l’ecclesiastico destinato a risiedere all’eremo, in cambio del giuspatronato e del diritto di nomina del priore per sé e per i propri eredi. Il 6 gennaio 1514 papa Leone X acconsentì alle richieste avanzate dai Thun e la concessione pontificia fu confermata dal Principe Vescovo Bernardo Clesio l’anno seguente. Probabilmente già nel 1514 i nuovi patroni avviarono la costruzione di una cappella dedicata all’arcangelo Michele lungo la scala d’accesso alla parte sommitale del romitaggio. Maestranze forse lombarde fabbricarono un unico ambiente a pianta rettangolare, ripartito in tre campate e coperto da un volta a botte lunettata - di forme gotiche - con costoloni in arenaria che si dipartono da peducci addossati alle pareti, due dei quali con testine scolpite e dipinte. In tre punti d’incrocio delle nervature sono inseriti gli stemmi dipinti dei Clesio, dei Thun e dei Fuchs. Lo stemma dei patroni è già inquartato a quello dei Montereale, quindi successivo al 22 giugno 1516, data dell’autorizzazione imperiale al miglioramento del blasone. Sul fianco sud fu aperta una grande arcata a tutto sesto con conci in pietra rossa, tamponata nel 1706 lasciando solo un’apertura nella parte superiore.

Nel 1584, al tempo del priore Antonio “de Runco” da Malé, Sigismondo “de castro Thoni” (1537-1596) fece dipingere l’interno della cappella. I lavori furono ultimati il 26 settembre di quell’anno come si legge nell’iscrizione dipinta sulla parete di fondo dell’abside, che ricorda il nome del committente ma non quello del pittore. Recenti restauri hanno rimesso in luce sulla parete destra (campata centrale) i ritratti di Sigismondo e della moglie Anna Cristina Fuchs von Lebenberg (sposata nel 1568 e morta nel 1590), raffigurati in ginocchio, in atteggiamento orante, uno di fronte all’altro, con lo sguardo rivolto verso una finta nicchia centrale chiusa da un’inferriata, forse allusione allo spazio dove erano custodite le reliquie di Romedio o dei suoi compagni Abramo e Davide. Alle spalle dei coniugi sono dipinte le rispettive insegne araldiche.

All’impresa decorativa contribuirono anche il barone Giorgio Spaur e la moglie Maria Sidonia Thun, cugina di Sigismondo, ricordati in una scritta sulla parete sinistra del presbiterio. Dell’originario ciclo tardocinquecentesco rimangono in vista la bella decorazione con motivi floreali e vegetali della volta e alcune scene sulle pareti. Sul muro di fondo sono rappresentati il ritratto del priore “de Runco” sopra la porta della sacrestia e l’Incoronazione della Vergine da parte della Trinità nella lunetta, dove si vede Maria troneggiante su una falce di luna circondata da due cherubini in volo e da altri angeli musicanti. Nella seconda campata della parete destra troviamo l’Orazione di Cristo nell’orto (registro superiore), i ritratti dei committenti (fascia centrale) e un finto parato a fasce lisce verticali e a bande oblique di colore giallo ocra, grigio-nero e bianco (zoccolatura).

Nella campata successiva continua parzialmente il finto parato dello spazio contiguo, poi sostituito da un disegno a scacchiera rosso-bianco sul quale è dipinto a stampino un motivo a stella di colore rosso. Nel registro centrale sono effigiati alcuni religiosi - di cui sono indicati i nomi di battesimo (Filippo Ernesto, Federico e Cristoforo) - inginocchiati ai lati di uno stipo a tre ripiani dove sono appoggiati alcuni libri. Le pitture murali furono assegnate al pittore venostano Adriano Mayr dallo storico francescano Giangrisostomo Tovazzi (1731-1806), attribuzione non messa in discussione dalla critica successiva. La cappella custodisce un unico altare in legno fiancheggiato dalle portine del coro. Come ricorda la targa dipinta sul fianco destro del presbiterio fu Giovanni Ernesto Thun (1643-1709), Principe Vescovo di Salisburgo dal 1687, a finanziarne la realizzazione.

Nel 1704 aveva infatti lasciato al santuario un capitale di 3000 fiorini, in parte impiegati dal priore Pietro Tecini  nel 1713 per fabbricare il nuovo altare, dipinto a finto marmo e dorato nel 1758 da Mattia Lampi (1698 circa - 1780) di Romeno. L’ancona barocca, completata da un cimasa con timpani curvilinei spezzati e fastigio sagomato con Dio Padre scolpito a mezzo busto, è affiancata da due statue lignee di metà Settecento, raffiguranti san Romedio (a destra) e un altro santo (a sinistra). La pala d’altare, raffigurante l’Arcangelo Michele che abbatte Lucifero, è più antica, con ogni probabilità realizzata intorno al 1584 contemporaneamente all’esecuzione della decorazione pittorica, ma ritoccata dal pittore Vanzo nel 1857. Confronti stilistici e iconografici consentono di avanzare un’attribuzione al pittore Paolo Naurizio, originario di Norimberga, ma documentato a Trento e nel territorio del principato tra il 1578 e il 1597.

Il dettaglio dell’arcangelo in volo, con la spada sguainata nella mano destra e la bilancia nella sinistra, in atto di far precipitare all’inferno Lucifero - raffigurato con ali e penne di pavone - e i suoi seguaci può essere confrontato con un quadro con lo stesso soggetto della chiesa di san Pietro a Cembra, sempre attribuito al Naurizio e databile al 1590 circa. Al XVIII secolo risalgono, invece, le stazioni della Via Crucis dipinte su tela da Mattia Lampi nel 1758 - che conservano le cornici originali - l’acquasantiera in pietra chiara con una lavorazione a conchiglia, fornita nel 1763 da Pietro Antonio Barbacovi, e il cancello in ferro battuto che chiude il portale d’ingresso in conci di pietra rossa, con arco a tutto sesto e stipiti monolitici.

A Cristoforo e a Bernardino Thun spetta il merito anche della costruzione della chiesa maggiore, ad aula unica con pianta pentagonale, sovrapposta parzialmente alla cappella di san Michele e appoggiata alle parti più antiche del santuario (sacello delle reliquie e cappella di san Vigilio). I lavori presero avvio nel 1536, quando Bernardo Clesio concesse un’indulgenza per tutti coloro che avessero portato in cima alla rupe una pietra per la nuova fabbrica. Alla prima fase costruttiva appartengono le belle bifore gotiche aperte sul lato sud, il portale d’ingresso e il campaniletto, mentre il soffitto piano in muratura fu realizzato nel 1704. Nel 1612 le pareti furono decorate con pitture dipinte su scialbo di calce raffiguranti gli Apostoli e due episodi della Vita di Maria (Annunciazione e Assunzione) entro finte arcate separate da robuste colonne fittizie e accompagnate da frasi latine del Credo. La decorazione seicentesca comportò la copertura degli affreschi medievali del lato nord, riscoperti solo nel 1932. La Resurrezione di Cristo al centro della volta, delimitata da cornici modanate in stucco, risale invece al 1706, opera del pittore Giuseppe Vittorio Emer, al quale fu affidata anche la “rinfrescatura” delle figure eseguite un secolo prima.

Sempre a spese del Arcivescovo salisburgense Giovanni Ernesto Thun nel 1715 fu eretto un nuovo altare in legno - a quattro colonne  con lo stemma nobiliare scolpito nella cimasa - marmorizzato cinquant’anni dopo dall’intagliatore clesiano Sisinio Alessandro Prati (1702-1761), autore anche delle sculture a finto marmo bianco raffiguranti Abramo e Davide, compagni di san Romedio, fiancheggianti l’ancona. La pala rettangolare con San Romedio e l’orso fu dipinta nel 1905 dal trentino Giambattista Chiocchetti e andò a sostituire la pecedente tela di primo Seicento, rappresentante la Deposizione dalla croce, ora appesa sopra la porta d’ingresso alla sacrestia. Quest’ultimo locale fu fabbricato nel 1741 sopra quello analogo a servizio della cappella di san Michele risalente all’inizio Settecento. Per la sacrestia della chiesa maggiore furono eseguite - su richiesta del Principe Vescovo Domenico Antonio Thun - due copie di altrettante opere dei fratelli Giovanni Antonio e Francesco Gaurdi, raffiguranti la Visione di san Francesco e della Comunione sacrilega di Udone, vescovo di Magdeburgo, conservate nella sagrestia della parrocchiale di Vigo di Ton, dipinte solo sei anni prima.

Le tele di formato rettangolare furono pagate tra il 1745 e il 1746 a Giovanni Marino Dalla Torre (1684-1748), originario di Mezzana in Val di Sole, pittore di corte del committente. Sempre ai Thun spetta la realizzazione dell’ancona lignea, dipinta d’oro e di blu, collocata sopra la mensa d’altare nella cappella clesiana di san Giorgio, eretta nel 1487 all’inizio dello scalone d’accesso alla sommità dell’eremo. Di forme ancora rinascimentali, nonostante rechi sull’architrave la data 1607, la piccola struttura è costituita da due lesene rudentate poggianti su plinti ornati sul fronte da due stemmi dipinti con le armi araldiche dei Thun e dei Cles inquadrate con altre insegne nobiliari. La cimasa è formata da due timpani lineari spezzati, mentre la predella è decorata da due elementi lignei bugnati a bauletto. Al centro è racchiusa la pala, coeva all’altare, raffigurante l’Incoronazione della Vergine nel registro superiore e i santi Giorgio, Michele arcangelo e Romedio in basso. La scena della Madonna coronata dalla Trinità mostra grandi somiglianze con l’analogo soggetto dipinto nel 1608 nella cimasa dell’altare Thun della chiesa di santa Maria a Taio, opera del Monogrammista WR, probabile autore anche di questa tela. Ai lati esterni della specchiatura centrale sono fissati piccoli pannelli rettangolari - delimitati in alto e in basso da elementi a volute - figuranti le sante Caterina e Barbara  a sinistra e le sante Orsola e Margherita a destra.

La devozione al santo eremita portò vari esponenti della famiglia Thun a donare al santuario preziose suppellettili ecclesiastiche, ma anche semplici ex-voto. Il barone Giovanni Arbogasto e la moglie Giuditta d’Arco, ad esempio, commissionarono nel 1605 un reliquiario d’argento per custodire il cranio di san Romedio, mentre Arbogasto del ramo di Bragher regalò nel 1841 una pisside in argento dorato, prodotta ad nel 1716 Augsburg da Johann Wagner (1646-1724). Carlo Cipriano Thun (1619-1676), invece, fece dipingere un ex-voto nel 1650, in cui è ritratto in ginocchio in atto di ringraziare san Romedio per averlo salvato dal colpo di una pistola. Il quadro rimase appeso, almeno fino all’inizio del Novecento, vicino alla porta della chiesa maggiore, mentre ora è custodito in deposito insieme ad altre testimonianze della devozione popolare.

Nel 1725 i Thun decisero di fabbricare un appartamento all’altezza della cappella di san Michele per poter alloggiare comodamente in occasione delle visite al santuario. L’accesso agli alloggi privati era garantito sia dallo scalone che dalla sacrestia della cappella di famiglia. I piccoli locali s’affacciavano sul caratteristico ballatoio ligneo - tuttora esistente - che seguiva il perimetro esterno del nuovo corpo edilizio aggiunto sopra le scale. Alcune stanze erano coperte da volte a crociera altre da soffitti piani, come la cosidetta “stanza del conte” interamente foderata in legno e dotata di una bella stufa ad olle uscita dalle botteghe artigiane di Sfruz, che presenta formelle in terracotta smaltata di date diverse: 1726, 1751 e 1806.

 

*Testo tratto da:

 I luoghi dei Thun nelle valli del Noce. Itinerari d'arte e di storia, a cura di Salvatore Ferrari, Trento: Castello del Buonconsiglio, monumenti e collezioni provinciali, 2010, pp. 47-53. 

Salvatore Ferrari - Funzionario della Soprintendenza per i beni culturali

24/03/2016