Ombre di guerra e di disperazione, come 100 anni fa

A Palazzo Trentini una mostra che istituisce un dialogo tra i profughi trentini e quelli del contemporaneo

[ Foto Giorgio Salomon]

L’Europa è uno dei porti in cui cercano la salvezza moltissimi profughi. Uno dei tanti porti, e neanche
il principale. A noi sembra che tutti arrivino qui. Perché ci sfuggono, spesso, le vere dimensioni di questo
dramma mondiale. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ci ricorda che nel 2014
ci sono stati 59,5 milioni di profughi nel mondo, dei quali 38,2 milioni sfollati interni e 21,3 milioni che
hanno dovuto abbandonare il loro Paese. Per ritrovare una tragedia di queste proporzioni bisogna risalire
agli anni della Seconda guerra mondiale.

Ma di quei ventuno milioni e più di profughi che hanno dovuto cercare in un altro Paese la salvezza
ne sono arrivati in europa, nel 2015, soltanto 1 milione. Sì, soltanto. Meno di quanti ne accoglie il Libano
che è una nazione più piccola del Trentino-Alto Adige. La realtà è che la maggior parte di questa
umanità in fuga è accolta nei Paesi confinanti o prossimi a quelli che è stata costretta a lasciare. È accolta
nelle città, nei villaggi e negli immensi campi profughi del Vicino oriente e dell’Africa. Campi che
sono vere e proprie città di tende e di baracche, destinate a durare anni e anni.

Come il campo profughi di Kakuma, nella savana del nord-ovest del Kenya, sul confine col Sud Sudan,
che nel corso di più di vent’anni è diventato una immensa città di lamiera ondulata e teloni di plastica e
strade di polvere, abitata da 180.000 persone. Una città di bambini e di vedove, dove 100.000 dei suoi
abitanti ha meno di 18 anni e la maggior parte dei restanti sono donne, perché i mariti sono al fronte a
combattere o sono morti (come racconta S. Ramazzotti in “Africa”, n. 4, 2015). Abitanti che sopravvivono
in questi campi grazie all’aiuto delle Nazioni Unite, delle organizzazioni umanitarie internazionali, delle
chiese. Tanti sono destinati a nascere, crescere e morire in queste nuove e disumane città.

Quello dei profughi è un dramma causato da decine e decine di guerre, piccole e grandi, e dal terrorismo
che insanguinano il Vicino oriente e l’Africa. Una violenza alimentata dal commercio delle armi,
in costante crescita, che arricchisce il Nord benestante del mondo che ne è la fonte pressoché totale:
l’europa, la Russia, gli Stati Uniti, la Cina.

Un dramma causato dai disastri ambientali, dalla miseria e dalle spaventose disuguaglianze economiche.
Nel 2014 il 48% della ricchezza del pianeta era detenuto dall’1% della popolazione mondiale; un altro
46% dal 19% della popolazione; il restante 5,5% dall’80% dell’umanità (Rapporto oxfam 2015). Ancora
16.000 bambini sotto i 5 anni muoiono ogni giorno di malnutrizione e malattie, la maggior parte nell’Africa
subsahariana. In un mondo siffatto, come meravigliarsi di tanti spostamenti di persone in cerca di una
vita migliore? Quando parliamo di profughi “economici” dobbiamo sapere di chi stiamo parlando.

Siamo dentro questo gigantesco dramma e dobbiamo fare la nostra parte per rispondervi con responsabilità
e umanità, consapevoli che non ne stiamo portando il peso maggiore. Ma dobbiamo anche
rimuoverne le cause. e qui, ancora di più, i Paesi ricchi, europei compresi, non possono ignorare le
loro responsabilità.

Invito (2).pdf 1,75 MB
Vincenzo Passerini

04/04/2016