"Prima del silenzio"
La nostra intervista a Leo Gullotta da giovedì 19 alle 20.30 al Teatro Sociale di Trento in uno scontro generazionale: la parola come creatività o come limite?
“Prima del silenzio c'è la parola, la vita, il piacere di guardare, di vedere, sapere, curiosare, di essere vivo. In ognuno di noi, a un certo punto, arriva il silenzio. Un monito che giunge attraverso un lavoro anomalo, particolare, un pugno nello stomaco che mette il pubblico in un ampio raggio di riflessioni su temi cruciali che ci circondano, che riempiono le pagine dei giornali e dei media: crisi sociale, matrimoniale, generazionale”.
Ci introduce con questa partecipazione emotiva Leo Gullotta a Prima del silenzio, lo spettacolo teatrale che da giovedì 19 fino a domenica lo vede protagonista al Teatro Sociale di Trento.
Gullotta, ci racconta un po’ la trama dello spettacolo?
“Si sviluppa intorno a un protagonista un “lui”, e un ragazzo. Due concetti, una scena. Un intellettuale ‘scappato’ che non vuole più condividere la sua vita da borghese con la moglie e tutto ciò che la sua vita con lei rappresenta. Sapremo alla fine se gli interrogativi che lo scuotono avranno una soluzione o se il suo rifugio è solo un ‘luogo’ dove l’uomo sta emblematicamente tra ricordi, aneddoti, dubbi”.
A che punto sopraggiunge la crisi?
“Superata la mezza età, ‘lui’ sembra aver perduto lo stimolo vitale. Non salva nulla, neppure la poesia cui tanto era legato, si lascia tutto alle spalle per vivere il piacere di parlare con un ragazzo, simbolo di zingaresca libertà. Per lui le parole sono creatività, l’unico modo di sentirsi vivo. Per il ragazzo, invece, rappresentano solo un limite. Il travaglio di quest’uomo assume le fattezze di un incubo: la moglie diventa un’entità vorace, ricattatoria, così il figlio e la casta con i suoi orpelli e contributi piccolo borghesi. Una riflessione a tutto tondo sul senso di colpa che costringe e castra”.
Quale figura incarna per lui il ragazzo?
“Il dialogo con il ragazzo è l’unica vicenda che tranquillizza il protagonista. Un rapporto che fa scattare lo scontro generazionale. Il pubblico si sente preso per i capelli, scosso, stupito, costretto ad aprire tutti i suoi cassettini nascosti. E' chiamato a compiere un viaggio nella sua interiorità, ad affrontare questa riflessione per, in certo senso, riprendersi la vita. Sta in silenzio per l’intera ora e mezza dello spettacolo, e alla fine esplode in maniera fragorosa, gioiosa, come liberato”.
Uno spettacolo ancora attuale a distanza di trentacinque anni.
“Scritto da un grande intellettuale del secondo Novecento come Patroni Griffi, lo spettacolo è dedicato totalmente e per sempre al grande Romolo Valli. Rappresentato nel ’79 all’Eliseo di Roma con Valli protagonista che morì per un incidente al termine dell’ultima replica, trent’anni dopo torna su proposta del regista Fabio Grossi. Un testo meraviglioso, anomalo nella scansione drammaturgica, per la presa di posizione contro il conformismo dilagante già negli anni settanta, con un uso delle parole profondo, incredibile. E' alla seconda stagione e ha già attratto 40 mila spettatori".
16/02/2015