Summer Rainbow Fida
L'appuntamento è a Palazzo Libera, Villalagarina, per la nuova tappa della mostra
“Di sicuro ci sarà sempre chi guarderà solo alla tecnica
e si chiederà ‘come’, mentre altri
di natura più curiosa si chiederanno ‘perché’.”
Man Ray
La stagione estiva ricca di sole, colore, luce, percorsa da qualche temporale imperioso e acquazzone improvviso, porta con sé uno speciale fenomeno artistico caratterizzato da una rassegna iridata. Un arcobaleno lungo quanto il tempo di nove settimane, che nei suoi colori cangianti ospita quindici artisti.
Una sfilata dal sapore iridescente. Una parata dal profumo vivido di tinte differenti, complementari, distanti, policrome, monocrome. Una manifestazione di immagini catturate, stampate, rivisitate, trasformate. Una sequenza materica estratta dalle mani, dipinta con la passione, disegnata con maestria.
Arcobaleno Estivo. Un lampo che si irradia in stille multicolori. Un ponte arcuato che si apre nel cielo in cui il tempo di Cerere si manifesta nel pieno splendore dorato delle messi. Una stagione nella quale la dea protettrice delle colture cerealicole si rende magnifica e diviene stupenda con gli archi colorati che nel blu pulito dalla pioggia scrosciante compaiono come un lampo squarciando il sole, nel segno di unione tra un punto e l’altro nonché un luogo ed un altro della Terra.
Tracciare una linea arcuata nel panorama dell’arte territoriale significa disegnare con lettere incisive quello che il panorama artistico territoriale offre; vuole dire uscire da quel cubo bianco, quale spazio espositivo del tempo in cui viviamo, per entrare nel mondo aperto degli artisti realmente tangibili, i quali si svelano con opere accuratamente scelte e tracciano una forma di arte nella quale affiora l’identità, la radice, la chioma e la linfa di ciò che vive qui ora e adesso. Questo non significa disegnare una linea che contorna questa arte come un momento transitorio, poiché l’arte di transizione non esiste, ma esiste l’arte in ogni forma in cui la conosciamo e trovare una realtà con-temporanea, ovvero che vive nel nostro tempo, significa fruire e godere di ogni sua espressiva e rappresentativa sfaccettatura. Come al medesimo tempo vuol dire esporre la propria cultura, renderla nota affinché possa divenire quel linguaggio universale, quel messaggio importante che contraddistingue questo tempo e luogo. Un modus vivendi collettivo e individuale.
Dunque sotto il manto iridato e scintillante di Iris il messaggio, quale emblema dell’espressione artistica presente sul nostro territorio, si esprime incisivo, forte e caratteriale con un variegato ventaglio di opere che parlano lingue differenti, data la diversità di ogni artista, ma che si intersecano e dialogano in una sequenza ritmata melodica, che come ritornello ha un unico rimando: arte.
Le emulsioni illustrate di Fabrizio Contino Gravantes, come cristalli liquidi di schegge fotografiche appaiono in scene urbane ed extraurbane scrivendo con la dilatazione dell’immagine fotografica il colore dell’impensabile in bizzarri scherzi colorati dall’innocenza; come innocente è la geometria degli omini ominidi ultra-temporanei di Sarah Mutinelli che guizzano in giochi staticamente rocamboleschi nella serietà trattenuta dalle forme geometriche volutamente sbilenche, come se fossero il prodotto ossessivo della giocosità nascosta dentro ognuno di noi.
I colori acidi ed entusiasti di Paola Bradamente esplodono, come un flash flow estivo nel gretto incolto di un fiume arso del deserto del Mojave dove incontrano per dialogo cromatico, allo sfociare del corso impetuoso d’acqua, il placido, sensuale lago lunare dei corpi divini, diafani, eterei, cosparsi dalle gocce sorgive di fonte vergine di Nadia Cultrera
Così le emozioni svelate dalle tele di Francesca Libardoni architettano una dimensione apparente con incisiva marcatura alla vulnerabile e preziosa intimità emotiva femminile; emozioni che a distanza osservano i segni emergenti dalle fotografie di Valentina Niccolini, quali velature dell’essere umano che compare come una visione dentro lo scatto fotografico realizzato nel tempo in cui quella apparenza rimaneva invisibile, mentre l’occhio sensibile di Luciano Olzer aleggia nei suoi concetti impressi o immortalati dalla macchina fotografica, palesandosi come il canto di una voce bianca che accoglie nelle sue corde vocali quella tangibile femminilità che contraddistingue le sue opere e con cui dialoga in questa estensione.
Ed ecco le caleidoscopiche cromature di Daniela Armani, rifrangersi come pensieri colorati dell’iride dentro la pupilla dell’occhio curioso, che per uno scherzo di luce ha sbirciato dentro il sole, mentre le melodie di colori vaporizzati dal pennello sulla tela di Fabrizia Dalpiaz, danzano come funamboli sulle corde della chitarra classica echeggiando volteggi tra le note di Segovia. Come echeggi sono le voci acquee che si stagliano tra le fiamme ardenti della metamorfica ceramica di Gianni Anderle: un tripudio di elementi primari che prende forma concreta con la foggiatura delle mani. Ed il colore azzurro si espande, come un lago cerebrale, psichedelico, dove le forme hanno una struttura pensata, ma stravolta dalle convenzioni per mano di Roberto Codroico, quale esperto di architettura, in questo caso volutamente sconvolta.
Elisabetta Moretto intavola le sue parole, le incide col pennello nel colore, come uno scriba antico comunica qualche cosa di prezioso alleggerendo quella pietra incisa, rendendola lieve come un tarassaco da soffiare, cosicché i semi svolazzanti incideranno nuove zolle. Mentre Enrico Farina traccia deciso, con rilievi evidenti e geometrici i concetti ed i pensieri talora comuni e tal altra complessi, rendendoli materici, tanto da indurre ad una riflessione profonda e accurata.
Monica Pizzo, invece, sviscera la terra femminile, quell’intimo stato creativo che si tocca con i polpastrelli, terra intesa come donna, come corpo talvolta con forme non canoniche all’osservatore, ma colme di emozioni e bellezza. Mentre il corpo, la materia lignea di Roberto Piazza ci appare viva, come il tronco di un albero che amiamo, ma che si è, per maestria, trasformato nell’opera scultorea che le sue mani hanno forgiata.
“Di sicuro ci sarà sempre chi guarderà solo alla tecnica e si chiederà ‘come’ ” scriveva Man Ray, perché la curiosità implica sapere come è stata realizzata l’opera, in quanto il raziocinio spesso prevarica il sentimento e l’emozione; “mentre altri di natura più curiosa si chiederanno ‘perché’ ” , Concludeva. Certo chiedersi perché implica molteplici risposte e dà spazio sia alla mente quanto all’emozione di trovare quelle che più soddisfano, ponendo altresì altre domande curiose.
Dunque dialogare con l’arte vuol dire chiedere e chiedersi perché. Ma la vera risposta al perché non esiste sotto forma di manuale tecnico con istruzioni incorporate, bensì semplicemente non risponde che con le opere stesse.
Con Fida hanno collaborato alla realizzazione il Comune di Trento e di Villa Lagarina.
13/07/2018