AIR – La storia del grande salto
Regia di Ben Affleck
È il 1984, Reagan sta alla Casa Bianca, la Apple lancia il suo primo Macintosh e Michael Jordan deve ancora mettere piede su un parquet NBA. Ma con quale scarpe? Converse e Adidas si spartiscono il mercato delle squadre in cima alle Conference, delle stelle sui poster e dei senior universitari. Nike, l'azienda che prende il nome dalla dea della vittoria e che nessuno sa pronunciare, arranca molto più indietro. E per Phil Knight, suo co-fondatore e runner al college e nell'anima, non può andare bene.
È per questo che da qualche tempo ha assunto nella divisione basket Sonny Vaccaro, talent scout che ha varcato i palazzetti liceali e universitari di mezzi Stati Uniti, dove ha stretto la mano a tutti i coach, agli assistenti e ai giocatori a cui è riuscito ad arrivare. L'obiettivo è uno e soltanto uno, firmare la prossima star NBA sulla rampa di lancio verso il tabellone. L'obiettivo, in vista del draft del 1984, quello con in lista Hakeem Olajuwon, Charles Barkley, John Stockton e - perché no? - Oscar Schmidt, è uno e soltanto uno: Michael Jeffrey Jordan, da Brooklyn, New York, junior di North Carolina. The GOAT.
I loghi-runa di Nike e Air Jordan raccontati attraverso il processo umano e capitalistico che li crea e li sostiene.
Come fai a fermare in un grumo di ambra splendente lo scorrere del tempo e decidere che quello è il momento dove tutti hanno capito qualcosa di quello che tutti hanno definito il più grande giocatore di basket di ogni tempo - per dirla alla Martin che si rivolge a Rust in True Detective, e avvertire quanto in alto è fissata la barra, "You are the Michael Jordan of being a son of a bitch". Sonny Vaccaro ha scelto il tiro che nel 1982 ha dato il titolo a North Carolina contro Georgetown (MJ, 19 anni); molti andrebbero per il "Flu Game" che ha portato i Bulls sopra di una nelle finals del 1997 contro gli Utah Jazz (MJ, 34 anni).
Qui invece ci buttiamo sulla partitella di allenamento giocata tra i membri del Dream Team di basket nel 1992 a Monte Carlo, quattro giorni prima dell'inizio delle olimpiadi di Barcellona: 5 contro 5, Magic Johnson da una parte, MJ dall'altra, Larry Bird disteso a bordo campo con il mal di schiena, Christian Laettner dal college in panca perché giocano solo i grandi. Finisce come finisce, e dopo, mentre Magic e Bird stanno in stanza a parlare, entra Jordan ed esclama "C'è un nuovo sceriffo in città", i due Lakers e Celtics si guardano, si danno di gomito e ridendo affermano "Non sta mentendo".
Ecco, è proprio a questo crocicchio di simboli, figure e orizzonti che Ben Affleck inquadra il suo Air - La storia del grande salto. Però collocandolo un attimo sotto e a lato dalla famigerata esposizione di anni mirabiles come l''82, il '92 o il '97, quando si lavorava dietro le quinte per preparare il palcoscenico alle evoluzioni tanto sul parquet quanto nel marketing del 23 in maglia Bulls.
Era il 1984 e Jordan doveva decidere se lasciare o meno North Carolina un anno prima dei quattro previsti, passare attraverso gli scouting NBA per capire quale sarebbe stata la sua squadra e scegliere con quale marchio sportivo annodare la sua immagine.