Autofocus

Cinema

Usa, 2002
Titolo originale: Auto Focus
Genere: Drammatico
Durata: 107'
Regia: Paul Schrader
Cast: Greg Kinnear, Willem Dafoe, Maria Bello, Rita Wilson

Bob Crane, reduce da un buon successo radiofonico, viene contattato per un nuovo show del prime-time televisivo: "Gli eroi di Hogan". È una sorta di icona ad Hollywood, non tanto per la sua affermazione come star, piuttosto per la sua solida vita matrimoniale che lo vede sposato da 16 anni con la sua fidanzata del liceo, Anne e padre di 3 figli. In realtà Bob è sempre stato affascinato dall'universo femminile tanto da tenere in casa varie riviste per soli uomini, ma non aveva mai compiuto il grande passo fino all'incontro con John Carpenter. Lo strano rapporto che unirà i due porterà Crane ad una sorta di "coming out" delle sue reali pulsioni erotiche e ad una vita dissoluta fatta di locali equivoci, incontri occasionali e "filmini casalinghi" delle sue imprese.

di Sergio Di Lino
Attratto da sempre dalla dialettica colpa-redenzione, al punto di farne la pietra angolare di tutta la sua produzione cinematografica, il calvinista Paul Schrader aggiunge un nuovo capitolo al suo personalissimo romanzo sulla precipitazione del sogno, non solo americano, nell'abisso dell'abiezione. Come i romanzi di Dostoevskij (non a caso tra gli scrittori più amati dal regista), il cinema di Schrader si costruisce ogni volta su di un processo di degenerazione entropica e di deriva esistenziale di un personaggio-simbolo, di una figura antieroica naturalmente votata allo scacco individuale: ne è un esempio il Travis Bickle di Taxi Driver, scritto dall'allora critico Schrader, non a caso ispirato dalla lettura de La nausea di Sartre. O ancora la figura di Yukio Mishima, lo scrittore giapponese al quale Schrader dedicò una delle sue regie più accorate. Il cupo pessimismo che avvolge il cinema di Schrader raramente si apre alla speranza o al riscatto: la redenzione anelata dai suoi personaggi è soprattutto un'utopia, una chimera vagamente inseguita fino alla perdizione totale.
Con Auto Focus, Schrader gioca per una volta la carta della commedia, senza però rinunciare all'infrastruttura sottilmente e intelligentemente moralistica del suo cinema. La storia è quella di Bob Crane, divo rampante di uno show tra i più bizzarri della storia della televisione americana (una sit-com ambientata in un campo di prigionia tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale), e in seguito intrattenitore di cabaret e sporadicamente attore per il cinema, ossessionato dal sesso e devoto praticante di orge che usava immortalare in centinaia di fotografie, trovato assassinato in una camera d'albergo a Scottsdale, Arizona, in circostanze mai del tutto chiarite: al centro del film, l'amicizia, ambigua e pericolosa, tra Crane e John Carpenter, tecnico video e compagno di scorribande erotiche. Con una glacialità a metà fra lo studio entomologico e un malcelato puritanesimo, Schrader registra senza alcun compiacimento l'ossessione e la dipendenza di Crane nei confronti del sesso, immergendo il plot in un contesto irreale e stilizzato, debitore, a livello stilistico, dell'immagine denaturata e rassicurante delle sit-com; ma ciò che racconta fa male sul serio: Auto Focus è una storia di egoismi, meschinità, piccole e grandi depravazioni, dolore, disagio. Crane, prigioniero dei suoi vizi, sembra costantemente sull'orlo dell'autoflagellazione, ma al tempo stesso appare sordo alle grida di dolore dei suoi cari, che lo implorano di cessare la sua forsennata attività sessuale e di recuperare una parvenza di contatto con la realtà. Precipitato in vortice senza fine, Crane percorre fino in fondo la strada che conduce all'oblio, e quindi alla morte. Poteva essere una star di prima grandezza, Crane, ma non ha saputo gestire la fama e il successo, e ne ha pagato le conseguenze.

Senza indulgenze né empatia, senza alcun afflato assolutorio, senza la minima pietà nei confronti di un uomo intrappolato nella gabbia della propria perversione, Schrader fa di Bob Crane l'emblema di un'umanità votata ancora una volta all'autodistruzione, nel nome di un edonismo sfrenato e di un culto degenere della personalità: come Travis Bickle, come Yukio Mishima, come il Richard Gere di American Gigolo, come i fratelli maledetti di Cat People come la Patricia Hearst del biopic ad essa dedicato, come il tormentato spacciatore di Light Sleeper, come la famiglia dissestata di Affliction.
Ma la differenza sostanziale di Auto Focus rispetto alla filmografia precedente di Schrader, risiede in quell'aria apparentemente scanzonata attraverso la quale viene scandita la discesa agli inferi di Crane; senza inflessioni tragiche, ma un gusto per il deviato e il grottesco che attiene più alla commedia irriverente alla John Waters; un cambiamento non epocale, ma comunque significativo per un cineasta abbonato ai toni plumbei e funerei. E invece, al di là dell'esplicito rimando a Sunset Boulevard di Billy Wilder, segnatamente nella voice-over "dall'Aldilà" del protagonista che narra la sua storia come in un lunghissimo flashback, Auto Focus si configura maggiormente come una parodia di racconto morale, una storia esemplare e quasi pedagogica svoltata in burla, nella quale nulla viene preso realmente sul serio.
Eppure Auto Focus colpisce e fa centro proprio nel momento in cui prende le distanze dalla materia narrativa principale, ponendosi in una condizione di straniata alienazione. Forte di una messa in scena rigorosa e calibrata, fatta di interni esplorati minuziosamente e di sequenze a due o a tre che circoscrivono gli elementi diegetici e i personaggi allo stretto indispensabile, Auto Focus è un Kammerspiel lancinante e spietato camuffato con maestria da burlesque, con gli attori (bravi sia Greg Kinnear nella parte di Crane e Willem Dafoe nel ruolo di Carpenter) che si rimandano le battute di continuo, come nella commedia dell'arte, e il sonoro chiamato a svolgere un ruolo di primo piano nella costruzione del senso. Con un retrogusto pesantemente punitivo, perché Schrader rimane sempre e comunque uno strano ossimoro vivente, un puritano/liberale attratto dall'abiezione dei suoi personaggi nella misura in cui questa si offra come strumento di condanna degli stessi. Per l'appunto, con la Bibbia nel DNA e Dostoevskij nel cuore.
da www.cinemavvenire.it


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