Cantando dietro i paraventi

Cinema

Giovedì al Supercinema

Italia, 2003
Titolo originale: Cantando dietro i paraventi
Genere: Drammatico
Regia: Ermanno Olmi
Cast: Jun Ichikawa, Carlo Pedersoli, Sally Ming Zeo Ni

Un giovane studente occidentale - in un ambiente estraneo al suo contesto abituale - a causa di un fraintendimento di indirizzo, viene condotto in un luogo fuori mano, in un teatrino-bordello per clientela in cerca di forti, trasgressive, emozioni. Appena varcata la soglia del portoncino illuminato da una lanterna cinese, ecco che viene subito introdotto alla esplicita realtà delle libere seduzioni. Tuttavia, allo sconcerto iniziale, a poco a poco e magicamente si sovrappone l'incanto della rappresentazione, fino a suscitare suggestioni e abbandoni da confondersi con il sogno.

di Marco Luceri
Ermanno Olmi riparte dalla tradizione. Dopo quello splendido film storico-militare che è stato Il mestiere delle armi (al contempo rigorosissimo documento sull'estetica di quel genere), il regista, dopo un lungo recupero filologico, riprende in mano un vecchio racconto del poeta cinese Yuentsze Yunglun, La piratessa Ching pubblicato a Canton nel 1830, ma ambientato nella Cina del XVIII secolo. È la storia di una vedova, che per vendicare la morte di suo marito, famigerato filibustiere a capo di una folta ciurma di sanguinosi e crudeli pirati, ne prende il posto, indossandone gli orpelli militari, e si lancia, con tre semplici giunche, all'assalto delle città e dei villaggi del millenario Celeste Impero, fino a scontrarsi con le preponderanti forze della marina imperiale. Nel secolo scorso la storia affascinò tanto Borges che lo scrittore argentino volle raccontarla in maniera immaginifica nella Storia universale dell'infamia.
Il film di Olmi comincia invece, nonostante gli illustri e discussi precedenti, proprio da Il posto, il suo secondo film del 1961. Il ragazzo infatti, che cerca un convegno di cosmologia e si ritrova in un teatro-bordello dove si racconta e si recita la storia della celebre piratessa, ha lo stesso sguardo incantato e la stessa innocenza di Domenico, il giovane protagonista di quel film. Ambedue vengono iniziati alla vita e servono al loro autore ad introdurre il suo personale sguardo, quello della macchina da presa, sulla scena del mondo. In questa ultima opera è il binomio carne-memoria a dare inizio al racconto. Il ragazzino porta con sé un libro da regalare non si sa a chi, ma il suo spirito è affascinato e sedotto dal sesso libertino che si pratica là ("metti le ali allo spirito" gli dice un'attrice-prostituta). Il piccolo volume allora, oltre che profumare di letto, diventa uno strumento della memoria.
È su questo sottile binomio di iniziazione che Olmi imbastisce il suo film, e lo fa citando Omero, il leggendario cantore cieco della Grecia mitica e primordiale che di amore, sangue e memoria aveva imbastisto la tradizione letteraria prima orale e poi scritta. La voce del racconto è affidata ad un vecchio pirata e narratore, con la profonda e musicale voce di Bud Spencer, ex-capitano della Reale Marina di Andorra. Questi elementi iniziali ci introducono in un film reinventato attraverso la forma della favola-parabola piena di allegorie più o meno nascoste. È un Olmi che torna dunque all'infanzia (sua e dell'umanità), scoprendo la corporeità femminile, compiendo un'operazione totalmente opposta alle atmosfere cupe de Il mestiere delle armi, dove tutto era sacrificato in nome della ragion di stato e della disillusione tutta maschile.
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