Che fortuna... Fortunato!

Teatro

Organizza AIDO Val di Sole
Le offerte raccolte saranno devolute agli scopi dell’associazione

Che fortuna... Fortunato
Spettacolo di narrazione
Testo, regia e voce narrante di
Maria Teresa Dalla Torre
Progetto musicale “Arco Temporale” a cura di
Matteo Tomei voce, chitarra e programmazione musicale
Fabio Bizzarri chitarra
Atto unico di settanta minuti.
Protagonista Fortunato Stocchetti.

Fin dal principio ci si sente coinvolti dalle vicende umane del protagonista Fortunato che ci trasportano emotivamente in accadimenti succedutesi a cavallo di due secoli (fine Ottocento, primi del Novecento), avvenimenti e non solo, pensieri, sogni, ideali che ci aiutano a capire ciò che è avvenuto vicino a noi e lontano da noi in un momento storico così delicato e ricco di utopie.
Lo spettacolo è il frutto di un lavoro paziente di raccolta di testimonianze, parole tramandate, aneddoti, lettere gelosamente conservate ed è intessuto di notizie storiche che conferiscono densità e importanza al racconto
La narrazione è accompagnata o sottolineata dalla musica, a volte costruita sulla musica, anche d’epoca, come “La bella Gigogin” cantata dal protagonista mentre parla del suo periodo di leva; questo motivo molto diffuso era, nel suo sottotesto, espressione popolare di antimilitarismo e antiaustriaco.

Fortunato nasce nel piccolo paese di Cellentino in val di Peio. È giovanissimo testimone dell’incendio che distrugge violentemente il suo paese (testo:..le vache le ven fora e le scampa lontan dal foc, ma el porcel iiiihhhhhh, no ghe vers de tirarlo fora iiiiihhhhh, alora resta if mazuc!), impara l’arte del ciabattino ( testo:…gli spostamenti verso la Lombardia e l’EmiliaRomagna erano sempre più difficoltosi paroloti, ciapere e tutti quelli che vivevano di piccoli commerci con l’Italia erano in difficoltà. Io continuavo ad aggiustare scarpe…), si allontana dal paese per il periodo di leva, allora lunghissimo, torna, si innamora, rifiutato dalla famiglia della “morosa” si ribella partendo per l’America (testo: che fadiga scegliere una compagnia di navigazione onesta, c’erano tanti speculatori, procacciatori di emigranti, oggi voi li chiamate scafisti, gentaccia, bruti laori disposti a riempire le stive dei piroscafi con persone come se fossero sacchi di farina o di patate e trattarli come loro ostaggi tanto hanno già pagato e …intorno il mare è come una prigione.
Su quella barcaccia della miseria eravamo in tanti...)
Ritorna al paese scontento della sua condizione di emigrante ed è costretto ad un’altra partenza: la guerra (testo: Genova terra nemica? Ma la terra nemica è la tera secca , la tera asciutta, la terra englaciada, enndò che te spaches le man per tirarghe for vergot…
Per i solandri forse la guerra non era una sorpresa abituati a vedere manovre militari e unità che si addestravano al Tonale sui ghiacciai del Presena e sul Montozzo. Tanti avevano lavorato alla costruzione dei forti e dei trinceramenti, avevano visto passare colonne cariche di armamenti e cannoni.).
Viene fatto prigioniero dai russi sul fronte orientale di Galizia (testo: Le galiziane vestide de negro le veniva for dale soi capanne, le ne portava patate lesse en te padelace brusegade.
I cosacchi i le parava via a colpi de knut e i ghe nava ados con i cavai…
Sentadi giù en te la grasa de caval en te quel caudin spuzolent i vari pioci verdi giali e dala cros i se desedava..).
Rientra in Italia come irredento e vive gli ultimi anni della guerra a Torino dove conoscerà la vita di fabbrica.
Alla fine della guerra ritorna al suo paese: é riuscito a passare attraverso tutto ciò indenne nel fisico e rinforzato nello spirito.
Si sposa, diventa padre.
Ci lascia un grande messaggio di speranza e di serenità (testo:…. la speranza è qualcosa da mordere da mettere fra i denti, non dimenticatelo, la speranza è come un fratello o una sorella da rispettare e chi non ha speranza è condannato ad essere solo).

Perché questo racconto?
“Perché ad un certo punto della nostra vita si mettono in moto al nostro interno immagini, vedute della nostra persona e del nostro passato, del nostro " tempo antico" in cui si è incontrato noi stessi; così l'indimenticabile affiora nelle sue espressioni e nei suoi sguardi conferendoci l’autorità di narrare.
Io sento nella trasformazione della narrazione orale un'esigenza ideale e materiale della popolazione di cui faccio parte che allo stesso tempo ne è protagonista e destinataria.”
Maria Teresa

Maria Teresa DallaTorre
È nata a Cellentino val di Peio (Tn), attualmente vive e lavora a Siena.
Si è formata con:
-la regista Annet Henneman del Teatro Reportage “Teatro di nascosto” di Volterra, un esperienza altamente formativa che la costringe per esigenze “giornalistico-teatrali” a vivere a contatto con la realtà dei profughi dei campi di accoglienza, con i vagabondi e i senza tetto della città di Roma e altre realtà di emarginazione.
-Silvia Vladiminsky regista/coreografa e direttrice del “Teatro Fantastico di Buenos Aires”, per otto anni pratica il teatrodanza dove il linguaggio del corpo esprime oltre la parola.
-Andrea Amos Niccolini attore/regista allievo di Orazio Costa, con lui pratica la scuola della parola e della mimica teatrale.
Ha collaborato come attrice, lettrice e autrice di testi con TEATRIKOS Colle di Val d’Elsa (SI) e con l’Ass. Culturale ADARTE di Siena.
Da qualche anno collabora con l’Ass. Cult. LINUM e L’ECOMUSEO della VAL DI PEIO.

Testimonianza rilasciata dalla signora MARIANNA STOCCHETTI nata a Cellentino l’8 aprile 1923 figlia di Fortunato nonché madre dell’autrice.

Bibliografia:
“Storia e storie nelle Valli del Noce” di Fortunato Turrini
“La grande storia della prima guerra mondiale” di Martin Gilbert
“I prigionieri dello Zar” di Marina Rossi:
soldati italiani dell’esercito austro-ungarico nei lager della Russia (1914-1918)
“Voci nella tormenta” Centro Studi per la Val di Sole:
immagini e diari inediti dai fronti di guerra e dai campi di prigionia
“L’affresco” di Jolanda Vecchietti Centro Studi per la Val di Sole
“Niente di nuovo sul fronte occidentale” Erich Maria Remarque
Il testo contiene alcuni passi poetici dai “Canti orfici” di Dino Campana