Dietro lo specchio

Teatro

Nell'ambito dell'iniziativa sui disturbi alimentari promossa da Azienda Sanitaria della Provincia di Trento e Caritro.

Teatrincorso
Dietro lo specchio
con Barbara Fingerle, Silvia Furlan, Flora Sarrubbo
regia e drammaturgia Elena Marino
produzione > Teatrincorso
con il contributo della P.A.T.

La breve storia di un tentativo di volo. Di un'ipotetica scomparsa dietro uno specchio che rimanda solo le immagini che gli altri vogliono vedere. Se volessimo dire brevemente, lo spettacolo parla di ANORESSIA, di quell'entità quasi divinizzata che nel mondo del web si fa chiamare "ANA". Eppure così non basta, non è questo. Lo spettacolo parla di tutti, parla di comunicazione e non comunicazione, parla di emozioni, di amarezze, di bellezza, di dolore, di dolcezza, di voglia di combattere comunque. Lo fa con modi provocatori, talvolta sprezzantemente leggeri, spesso intensi.

Una notte come tante, uno spazio vuoto come una vuotezza ideale, perseguita ostinatamente sull'orlo dell'abisso. Un corpo si muove, prende quello spazio, lo fa girare vorticosamente fino allo stordimento, fino alla debolezza estrema che abbandona il corpo nelle mani degli altri, alla ricerca di un'ultima, estrema forma di comunicazione. Il corpo e il suo flusso di pieni e di vuoti, la parole e la loro micidiale capacità di ingabbiare oppure liberare, di costringere o sollevare, di costituire perfette macchine di tortuta basate sull'incomprensione, sulla cancellazione, sulla generalizzazione, sulla distorsione della realtà, dei sentimenti, dei problemi. Lo spettacolo mette in scena una rapida sequenza di immagini emozionali, di testi che affascinano per il loro alludere a qualcosa senza mai arenarsi in etichette facili, per il loro sfidare il fascino stesso di certe parole d'ordine svelando e rovesciandone i meccanismi, creando corti circuiti fra parola e immagine, fra dialogo e azione, corpo e pensiero.
Ci avventuriamo in un territorio difficile, ma con la forza e insieme la lievità delle immagini. Non abbiamo tesi, adoperiamo gli strumenti dell'arte teatrale per aprire piccoli mondi, stanze che non devono rimanere chiuse, pena il soffocamento. Non abbiamo biografie da illustrare, solo esperienze da ripercorrere, sequenze di distrazione quotidiana da rallentare per guardarle meglio, meccanismi di difesa e offesa da estrapolare per vederli sotto un'altra luce, per renderci conto da altre ottiche di cosa si tratta. Abbiamo nello stomaco emozioni e sensazioni che chiedono di essere presi in considerazione, di essere messi sul tavolo. Come il cibo. Su quel tavolo intorno al quale la stirpe umana si siede per condividere il cibo, quindi il nutrimento, dunque la vita. Non usiamo mai la parola "anoressia", ci guardiamo bene dal portare in scena un personaggio etichettato come "anoressica". Perché il linguaggio doloroso che mettiamo in scena riguarda tutti, è nei fallimenti della comunicazione all'interno della famiglia, della scuola, della società che nasce quel linguaggio di difficile comprensione eppure terso, con il quale alcuni decidono di parlare: i cosiddetti disturbi del comportamento alimentare. Anoressia come linguaggio, codice, rito.
Segni da decifrare, che disarmano, ci disarmano, ci rendono vulnerabili.
Interpretare il linguaggio ana significa esplorarne ogni aspetto, riconoscerne la bellezza e l'inconsistenza, la forza e la fragilità, significa sperimentarne logiche, rubarne parole e azioni.
L'essere umano non rinuncia mai a comunicare, anche se talvolta si trova costretto a comunicare con un apparente non-linguaggio. Non si tratta di fame o non fame di cibo: è l'impossibilità di essere se stessi che può condurre un essere umano a scegliere, pur non volendo, la morte.