Encresciadum

Musica jazz

NonSole Jazz Festival

Encresciadum
A Dream and a Tale
Silvia Donati (voce)
Pietro Tonolo (sax tenore)
Roberto Rossi (trombone)
Paolo Trettel (tromba)
Roberto Soggetti (pianoforte)
Marco Privato (basso)
Enrico Tommasini (batteria)

Mito e nostalgia

Il termine ladino Encresciadùm non corrisponde esattamente a “nostalgia”. Tale concetto suona in ladino propriamente come “mal de ciasa”, mentre Encresciadùm indica uno stato d’animo che non è necessariamente rivolto al passato, o comunque determinato dalla lontananza da luoghi, cose, o persone care. Esso si riferisce più ampiamente ad una tensione verso qualcosa di cui si sente la mancanza e che si desidera ardentemente senza averla mai posseduta, attitudine tematizzata nella cultura tedesca con il concetto di Sehnsucht, l’anelito verso l’infinito, la “nostalgia del totalmente altro” (Max Horkheimer). Insomma qualcosa come la “saudade do futuro”, cantata da Caetano Veloso e Teresa Salgueiro in Mistério de Afrodite (Aldo Brizzi).

Encresciadum, sentimento melanconico che induce a desiderare comunque “ancora un sogno e un racconto”: da qui si dipana il filo di un discorso che porta a rivisitare figure e luoghi della tradizione epica del popolo ladino, non per rimpiangere nostalgicamente un improbabile passato, bensì per recuperare la funzione simbolico-allegorica propria del “mito”, di per sé a-temporale e a-storico, quindi eternamente “presente” come espressione delle inquietudini esistenziali dell’uomo e del travaglio stesso della civiltà.

La mediazione è qui fornita da passi e motivi contenuti in opere di musicisti e poeti (primo fra tutti Luigi Canori) che già in passato si sono ispirati al mondo delle leggende dolomitiche, opere ben presenti nella coscienza collettiva della gente ladina, che hanno contribuito a dare dignità letteraria ed artistica alla cultura popolare sottraendola al facile consumismo folkloristico. Motivi riletti nel disincanto del presente, eppure riproposti per lo più nella forma di un dialogo, intimo e partecipato, con quelle stesse figure del mito nel quale ancora oggi si riflette, a tutte le latitudini, l’uomo contemporaneo. Il tutto veicolato dalle note di un linguaggio musicale “altro” rispetto alla tradizione ladina, sviluppatosi per lo più nei contesti urbani del continente nord americano, oggi cifra nobile di un mondo ampiamente globalizzato, il quale tuttavia conserva una componente squisitamente etnica ben riconoscibile, il blues, ovvero la saudade, o se vogliamo l’encresciadùm cantato dagli schiavi di origine africana e dai loro discendenti. Il risultato è al sommo grado un prodotto di contaminazioni: tra passato e presente, fra tradizione e innovazione, tra vecchio e nuovo mondo, fra città e campagna (montagna), mondi e orizzonti che oggi non possono ignorarsi, che tendono inesorabilmente a convergere, a dialogare, a mescolarsi senza necessariamente confondersi. Il jazz ha saputo assimilare e farsi assimilare da tradizioni musicali e culturali di altra origine, dalla vecchia Europa al Brasile emergente: ci prova ora con il ladino, una strana lingua antica, tutt’oggi parlata da una minuscola comunità insediata ai piedi delle Dolomiti.
Fabio Chiocchetti


organizzazione: Scuola di Musica Eccher