Forme morbide

Mostra

“Forme morbide”
Pietro Verdini, Paolo Tomio, Bruno Lucchi
Presentazione di Paolo Zammatteo

Pietro Verdini è il più spirituale: è l’artista la cui vicenda personale entra in modo sentitamente autobiografico dentro il quadro. L’esperienza dell’uomo, che nella vita ha avuto un marcato imprinting religioso, che ha svolto un’attività del tutto distante dalle arti e che ha scelto la pittura come forma del suo racconto, lo rende fortemente espressivo. Le persone, i paesaggi, le forme viventi delle sue opere sono Almen, anime nel senso più pertinente della definizione tedesca. La donna diventa l’essenza della madre; l’albero e le onde del mare, la roccia come i campi arati, sono identicamente manifestazioni della natura animata, della Creazione. Una creazione che viene imitata dall’artista-artefice in una dimensione quasi monastica, primitiva e contemplativa nel miglior spirito della religiosità, senza aderire necessariamente a stereotipi o a modelli ecumenici prestabiliti. Verdini è puro, come la sua luce, anche nell’armonia dei pattern geometrici.
Paolo Tomio è il più essenziale: apparentemente architetto, cosa che poi è nella realtà, quindi attento alla terza dimensione, catturato dalla permeabilità dello spazio, affianca l’idea di natura di Mandelbrot e la logica dei frattali (per cui dall’unità si arriva al tutto e dal tutto si arriva all’unità), ribadendo le medesime modularità dall’infinitamente piccolo all’immenso, suggerendo simmetrie spaziali complesse e un approccio scientifico alla materia che superano e ingannano i sensi. Il suo è progetto plastico, disegno di sculture immaginarie e impossibili, eppure è estremamente vero e realistico. Il disegno e la tridimensionalità, rappresentati dentro la cornice di una elegante ricerca sul colore, agiscono sui sensi in modo mutevole, come sfumature della luce e condizioni atmosferiche che intervengono nella materia delle forme rappresentate, una materia che non esiste ma vibra di vita propria. La sua è architettura disegnata, volume oltre la superficie, modernità oltre il postmoderno.
Bruno Lucchi ha l’approccio più scenografico: ricco di esperienza e fortemente espressivo, pur provenendo con tutta evidenza da una formazione neorealista, riesce a connotare la sua produzione, figurativa e classica, tra sfumature arcaiche, forme pure e reminescenze artdecò che nel complesso contribuiscono alla nobiltà e alla bellezza dell’opera. È sottintesa una forte passione antropologica. Ha un tratto sottilmente enigmatico, profondo oltre la superficie della materia scolpita o plasmata (forse per questo la sua è eminentemente arte plastica): suggerisce sempre, tra una sfumatura e l’altra, oppure nella penombra, il carattere psicologico, individuale, dei suoi personaggi e delle sue composizioni. È un’arte di contenuto, moderna e antimoderna allo stesso tempo; metafisica come l’Abbraccio di Ettore e Andromaca di De Chirico (1966), classica come un Rodin, sintetica come un Brancusi. Senza somigliare, nella sostanza, a nessuno dei tre.


organizzazione: FIDA-Trento Federazione Italiana Degli Artisti