Ida
Di Paweł Pawlikowski, introduce Gianluigi Bozza
Siamo nella Polonia comunista all’inizio degli anni Sessanta. Anna, una giovane novizia rimasta orfana quando nella Seconda guerra mondiale il paese era sotto l’occupazione tedesca, è sul punto di prendere i voti. La sua priora le dice che prima deve visitare la sua unica parente, la zia Wanda Gruz.
Anna, così incontra la zia, accanita fumatrice e forte bevitrice, dalla vita sessuale promiscua. Da lei scopre il segreto della sua esistenza: le rivela che lei è l’ebrea Ida Lebenstein, i cui genitori furono assassinati durante la guerra. Orfana, venne allevata in un convento di suore. Wanda, invece, sorella della madre, fece parte della resistenza anti-tedesca e dopo l’instaurazione del potere comunista divenne un famoso pubblico ministero, che fece condannare alla pena capitale molti “nemici del popolo” per il bene della rivoluzione.
Le due donne intraprendono un viaggio alla scoperta della storia della loro famiglia. La zia dice a Ida che prima di prendere i voti dovrebbe provare peccati e piaceri mondani. Ida vuole vedere le tombe dei suoi genitori, Róża e Haim Lebenstein, ma Wanda non conosce il luogo. Si recano così nella casa natale, ora occupata da Feliks Skiba, un contadino cristiano, e dalla sua famiglia. Durante la guerra, gli Skiba avevano nascosto i Lebenstein ai tedeschi.
Trovano il padre di Feliks in punto di morte in un ospedale: si ricorda di Róża e parla bene dei Lebenstein ma aggiunge poco altro. Feliks alla fine accetta di dire cosa è successo alla sua famiglia e dove sono sepolti i loro corpi se Ida promette di lasciarli in pace e rinunciare a qualsiasi pretesa sulla casa e sulla terra. I genitori, assassinati per impossessarsi delle proprietà, erano sepolti nel bosco. C’erano anche le ossa di Tadzio, il figlio che Wanda aveva lasciato a Róża e Haim quandò andò a combattere nella resistenza. Tadzio venne ucciso perché era circonciso e quindi non poteva passare per un bambino cattolico, mentre Ida venne consegnata alle suore di un convento.
Wanda e Ida si separano e tornano alle loro vite precedenti, ma l’esperienza vissuta le ha segnate profondamente. Wanda continua a bere e ad avere una intensa fame sessuale, ma ora piange la morte del figlio, della sorella e del nipote. La crisi che esperisce la porta al suicidio. In convento, Ida è visibilmente pensierosa e prende tempo per i voti solenni. Si reca al funerale di Wanda e nel suo appartamento si spoglia dell’abito da novizia e indossa i tacchi a spillo e un vestito da sera; prova a fumare e bere e la notte giace con un musicista che aveva conosciuto. La mattina successiva Ida si alza silenziosamente senza svegliare il compagno della notte, indossa nuovamente l’abito da novizia e se ne va, presumibilmente per diventare suora.
Il regista Paweł Pawlikowski non privilegia un punto di vista rispetto all’altro: le due donne sono uguali nel loro isolamento e nel loro bisogno di mettere insieme i frammenti dell’identità in un paese che è stato quasi completamente distrutto. Non solo le terribili distruzioni materiali: tra il 1939 e il 1945, la Polonia perse un quinto della sua popolazione, e fu la terra dello sterminio di tre milioni di ebrei. Nel dopoguerra l’NKVD, la polizia segreta sovietica, organizzò epurazioni, deportazioni e liquidazioni.
Sterminio degli ebrei e stalinismo restano sullo sfondo, non si vedono, sono costruiti nell’atmosfera della narrazione. Nell’atmosfera di un paese che sembra morto e dalla popolazione esigua. Ma quello che si vede è di una chiarezza che toglie il respiro; ottanta minuti di uno straordinario bianco e nero, “a fuoco” ha scritto un recensore. Immagini così distinte e potenti da acuire i nostri sensi. E un impiego così espressivo del silenzio e della ritrattistica.
“Ida” parla di identità, fede, colpa e comunismo. Difficile dire chi delle due donne sia la più “interessante”: Wanda promiscua, alcolizzata o Ida dotata di fede. Wanda, non possiamo fare a meno di pensare, è la storia polacca, sia addolorata che irredenta. Ida, manterrà la sua fede e il suo desiderio di essere una suora, o si accetterà come ebrea? Esposta al mondo in tutte le sue sconcertanti complicazioni, Ida tornata in convento per un po’, si prostra sul pavimento di pietra, chiedendo scusa per i peccati che non ha commesso.
Il personaggio di Wanda Gruz è basato su Helena Wolińska-Brus, che Pawlikowski conobbe e frequentò negli anni ottanta e lo lasciò sconcertato: “Un bella signora. Aperta, ironica, calorosa... Credeva davvero nel marxismo-leninismo. Di cosa è capace una persona in una vita?”. Il regista non riusciva a conciliare la donna conosciuta con la spietatezza del fanatico e del boia stalinista. È stato ossessionato per anni, non riuscendo a capire o ad entrare in qualcuno così contraddittorio.
Helena Wolińska-Brus, dall’1 aprile 1949 al 25 novembre 1954 operò nell’Ufficio del procuratore capo militare, e dal 1957 al 1968, quando venne licenziata nel corso della campagna antisemita successiva al marzo, negli istituti dipendenti dal Comitato centrale del Partito Operaio Unificato Polacco. Lasciò la Polonia con il marito, l’economista Włodzimierz Brus, e all’inizio degli anni settanta si stabilì nel Regno Unito, dove poi venne naturalizzata.
Nel 1998 il Ministero della giustizia della Repubblica di Polonia chiese la sua estradizione per reati commessi nell’orchestrare i processi politici del regime comunista. La richiesta venne respinta. L’imputata sostenne che le accuse erano di natura politica e antisemita, e di conseguenza non poteva aspettarsi un processo equo in Polonia. Una seconda richiesta venne inoltrata nel 2001 e una terza il 20 novembre 2007.
Le accuse di antisemitismo vennero respinte come “sciocchezze”, tra gli altri, da Władysław Bartoszewski, ministro del esteri di Varsavia (1995, 2000-2001), durante la Seconda guerra mondiale combattente nei ranghi dell’Armia Krajowa, uno dei costitutori dell’organizzazione Żegota, sopravvissuto ad Auschwitz, uno dei Giusti tra le nazioni, che da Wolińska-Brus fu perseguitato.
In Polonia “Ida” suscitò accesi dibattiti e anche delle proteste. Per i nazionalisti polacchi la sua prospettiva sulle relazioni ebraico-cristiane era offensiva, nell’ignorare che migliaia di polacchi furono giustiziati dagli occupanti tedeschi per aver nascosto o aiutato ebrei polacchi. Altri hanno sostenuto che il personaggio di Wanda Gruz, perpetuava lo stereotipo sugli ebrei polacchi come collaboratori del regime.
Di queste accuse Pawlikowski si è lamentato: vedere “Ida” solo come una riflessione sullo sterminio degli ebrei o sulla Polonia stalinista è limitante, dal momento che il film è una storia di identità. ed è anche un viaggio spirituale. In una intervista Pawlikowski ha affermato che “Ida” “è un tentativo di recuperare, tra le tante cose, la Polonia della mia infanzia”.
Paweł Pawlikowski è nato a Varsavia il 15 settembre 1957. A quattordici anni, nel 1971, lasciò il paese natale trasferendosi prima in Germania, poi in Italia, prima di stabilirsi in Gran Bretagna. Sul finire degli anni ottanta acquisì una considerevole fama grazie ai suoi documentari, la cui miscela di lirismo e ironia gli valse molti premi e ammiratori in tutto il mondo.
“Ida”, ha vinto nell’ottobre 2013 il premio come miglior film al London Film Festival, e in seguito ha ottenuto anche due nomination ai premi Oscar 2015, vincendo nella categoria di miglior film in lingua straniera. Nel 2016, è stato nominato come il 55° miglior film del 21° secolo, da un sondaggio di 177 critici cinematografici di tutto il mondo. Il successivo, “Cold War”, distribuito nel 2018, è stato presentato in concorso alla 71ª edizione del Festival di Cannes, dove ha vinto Premio per la miglior regia, ed è stato selezionato per rappresentare la Polonia ai premi Oscar 2019.
Ingresso gratuito