Il Risorgimento nel 150° dell'unificazione d'Italia
"... ma poi qualcuno ha detto che la mia storia è iniziata solo nel 1861, qualcuno ha parlato di Risorgimento. Ma se sono risorta, devo essere prima morta. Ma a me non sembra di essere morta, anzi, mi pareva di stare bene, prima di quella data che alcuni indicano come il mio anno di nascita ..."
Introduce
dott. Carlo Alberto Agnoli
La massoneria nell'ideologia risorgimentale
a seguire
dott.ssa Elena Bianchini Braglia
Il Risorgimento e l'unificazione d'Italia
Organizzato da
Associazione Culturale "La Torre" - www.associazionelatorre.com
Centro studi sul risorgimento e sugli stati preunitari - www.centrostudirisorgimentali.it
IL RISORGIMENTO nel 150° dellunificazione dItalia - per l'associazione "La Torre": Elena Bianchini Braglia
LItalia compie centocinquantanni. O così ci dicono. A noi pare sia troppo giovane. A noi pare che sia stata dimenticata troppa parte della nostra storia. La storia gloriosa di unItalia faro di civiltà, centro della Cristianità, splendida fucina darte, culla del Rinascimento. Dimenticata e sacrificata a un nuovo Stato fatto nascere con la forza, frutto delle illecite mire espansionistiche di un re, sorretto dalle potenze dellepoca, a scapito degli altri. I Savoia non hanno fatto lItalia. Lhanno conquistata, e lhanno soppressa. Soffocando quel ricco mosaico di tradizioni e culture che formavano la penisola, omologando e uniformando regioni tra loro diverse, autonome e gelose dei propri statuti e della propria autonomia.
E chi ha fatto dellItalia un giovane mostro malriuscito, denigrando la sua storia e la sua Chiesa, si è fregiato dellappellativo di patriota, mentre colui che avrebbe voluto affrontare il futuro gloriandosi del passato, viene bollato come antiitaliano. Malcontento, violenza, emigrazione furono i frutti di ununificazione che non generò mai unità, che anzi creò divisioni nuove e assai più profonde delle precedenti. Lo capì anche un agente segreto di Cavour, il pentito Filippo Curletti: «Lunità di una nazione non si crea. Bisogna aspettare che nasca alla sua ora. Allora solamente può essere forte e durevole», rifletteva nella sue Rivelazioni.
Il risorgimento è stato frutto di una triplice violenza. Una violenza militare, attuata nel momento in cui per realizzare una finta unità, uno dei regni italici ha iniziato ad espandersi a spese dei vicini. Una violenza ideologica, naturale conseguenza della prima, nata dalla necessità di farla accettare agli italiani, a popoli che non volevano saperne di cambiare patria e governo, nascondendo enormi difficoltà ed esaltando fittizie glorie. E infine una violenza politica, praticata generalizzando la legislazione piemontese a tutta la penisola, senza preoccupazione di potenziali rigetti legati a realtà locali profondamente differenti dal Piemonte, come si rivelò il caso del Sud. Senza preoccuparsi del fatto che interi paesi finissero schiacciati da una nuova miseria, che le mille tasse e gabelle imposte dai liberatori a popoli che mai le avevano conosciute, e che nemmeno non riuscivano a spiegarsele, suscitassero ovunque rabbia e scontento. Fin dal primo momento il Sud considerò i piemontesi come degli invasori. Cercò di arrestarli, ma i soldati che resistettero eroicamente a Gaeta e a Civitella del Tronto furono deportati nei lager sabaudi, luoghi tremendi, come la fortezza di Fenestrelle, dove chi aveva rifiutato i liberatori finiva i propri giorni in condizioni disumane, e i cadaveri venivano sciolti nella calce viva.
E per molti anni dopo quel fatidico 1861 - che qualcuno vorrebbe spacciare per lanno di nascita dellItalia - fu necessario che metà dellesercito sabaudo rimanesse di stanza nelle terre liberate, in un continuo stato di emergenza, con fucilazioni di massa, rappresaglie, stermini, incendi per reprimere quel fenomeno che fu poi bollato come brigantaggio, ma che, a ben vedere, non fu che la spontanea risposta del popolo ai sedicenti liberatori. Il vero plebiscito del Sud, lavrebbe definito Carlo Alianello: «Il paese comincia a parlare adesso. Non parlò il cosiddetto plebiscito, no, il plebiscito issi se lhanno fatto, issi se lhanno cantato e se lhanno ballato».
Falsi plebisciti hanno cercato di conferire una patina di filantropismo e patriottismo a unusurpazione che sarebbe altrimenti rimasta inaccettabile sul piano della diplomazia internazionale. Poi unenorme campagna di diffamazione fu orchestrata contro gli antichi Stati e soprattutto contro la Chiesa, secondo le direttive segrete della massoneria: «Schiacciate il nemico a forza di maldicenze e calunnie», si leggeva nellIstruzione dellAlta Vendita. E mentre la diffamazione travolgeva lItalia del passato e i suoi protagonisti, venivano creati ad arte nuovi eroi, falsi miti, padri della patria troppo freschi e mediocri, per non dire spesso indegni. È il caso di Giuseppe Garibaldi, avventuriero ricolmato dimmeritati onori. Per offrire agli italiani il più amato dei padri della patria fu necessaria, come riferisce lo storico della massoneria Aldo Mola, una «ininterrotta, capillare, imponente opera di persistente rivitalizzazione del mito di Garibaldi», opera che fu «orchestrata dalla massoneria». La vita di Garibaldi prima che la spedizione dei Mille e la servile penna di Alexander Dumas padre gli dessero notorietà, era quella disordinata di mercenario costretto a vagare per i due mondi in cerca di fortuna. Mille volte cambiò paese e divisa, dedito al commercio degli schiavi, legato a proscritti e filibustieri. Riuscì infine a guadagnarsi il successo politico con la conquista del Sud solo perché sostenuto dallInghilterra, interessata alla distruzione del regno delle Due Sicilie per motivi economici e commerciali e a quella di Roma e di tutti gli antichi Stati dellItalia cattolica animata da odio anticattolico.
Lo avrebbe ammesso, nella sua grossolana semplicità, lo stesso Garibaldi, accennando in vari discorsi pubblici agli aiuti ricevuti durante un soggiorno in Inghilterra nel 1864. E al Christal Palace, rendendosi improvvisamente conto dellimbarazzo suscitato dalle sue dichiarazioni, si meravigliò e con candore spiegò di avere parlato così «perché la regina e il governo inglese si sono stupendamente comportati verso la nostra natia Italia. Senza di esse noi subiremmo ancora il giogo dei Borbone a Napoli; se non fosse stato per lammiraglio Mundy, non avrei mai potuto passare lo stretto di Messina».
E fu proprio questa pesante interferenza di potenze straniere la causa del fallimento dei tanti progetti che erano stati ideati per cercare di costruire ununità vera. Sovrani, politici, intellettuali e religiosi avevano proposto idee. Idee diversissime fra loro, accomunate da una sola certezza: la necessità di preservare quel tesoro di tradizioni italiche, quellinimitabile patrimonio di differenze che caratterizzava il paese dalle tante capitali che aveva regalato al mondo il 70% di tutte le opere darte esistenti.
organizzazione: Associazione Culturale "La Torre"