L'argent

Cinema

Francia, 1983
Genere: Drammatico
Durata: 85'
Regia: Robert Bresson
Cast: Christiane Patey, Caroline Langa, Michel Briguet

Una piccola colpa provoca una valanga vertiginosa del Male fino al momento in cui nasce il Bene. Una parabola sul potere malefico del denaro, gelida e appassionante, abbagliante e spoglia con un radicale rifiuto di ogni seduzione spettacolare. Ultimo film di Bresson.

di Luca Venzi
Il cinema è l'arte di non mostrare niente
Robert Bresson
Un cinema insieme geometrico e minerale, mistico e terrestre, il più possibile semplice e vero e il più possibile astratto, rarefatto, complesso: intento ad indagare senza sosta, ossessivamente, la deriva morale della modernità, mostrandone coraggiosamente, limpidamente le forme più abiette. L'arte separata, solitaria, persino scontrosa di Bresson, un'arte ascetica, sorretta da una scrittura filmica potente e severa, ha voluto un cinema assoluto: lontano dai compromessi, dalle tendenze, dalla sua stessa natura di miracoloso marchingegno spettacolare. Niente attori professionisti (almeno a partire dal '56), niente logiche drammaturigiche precostituite e riconoscibili, niente retaggi psicologici, né ridondanze di sorta. Piuttosto, definizione progressiva di un'antidrammaturgia, azzeramento della recitazione (il non-attore, il modello, è materia da plasmare, in grado di esprimere in modo autentico l'intimità dell'essere umano senza filtrarla attraverso i codici, l'esperienza, i virtuosismi dell'attore), austerità della composizione: fino alla elaborazione di un vero e proprio grado zero della scrittura, un grado zero del cinema, frutto di una stilizzazione integrale ed astratta, che toglie al cinema ogni ornamento per conservargli la sola interiore potenza espressiva ("Questa è una storia vera. Ve la racconto così, senza ornamento" , recita la didascalia in limine a Un condannato a morte è fuggito, firmata da Bresson). L'essenzialità del tratto (dalla composizione dell'inquadratura alla struttura complessiva del film), la scarnificazione dei procedimenti narrativi, la disarticolazione della pienezza del racconto in direzione di una sua ri-costruzione iperframmentata (soprattutto nelle opere degli ultimi anni), l'uso altamente espressivo del fuori-campo e del sonoro, sono alcuni degli elementi costitutivi di una scrittura cinematografica immediatamente riconoscibile. Una scrittura percorsa da una visività scabra, profondamente ellittica, fatta di silenzi, di gesti miracolosamente minimali e straordinariamente significativi, di movimenti di macchina nitidi e frugali. Quello di Bresson è un cinema spietatamente antispettacolare, concentrato e teso nello strenuo tentativo di essere puro ed incontaminato, nell'ossessione di essere autentico.
In quarant'anni di cinema (dai primi due più tradizionali lungometraggi fino alla rarefazione quasi antifigurativa de L'argent, il suo ultimo film) il regista ha inseguito incessantemente l'idea di una visione nuda, primigenia – in quella paradossale alchimia di primitività e rigore algebrico che sorregge, dal di dentro, ogni sua inquadratura – di un'integrale rifondazione dello sguardo: un progressivo (perché graduale) e regressivo (perché diretto all'origine, a prima della contaminazione spettacolare) depuramento dell'atto del guardare, fino a raggiungere la più spoglia delle immagini del mondo, la più povera di artifici, l'immagine-cellula che guarda il reale e ne coglie il senso profondo. La nettezza dello sguardo – depurato in senso ottico e morale -, la sua identità pre-storica, preistorica, si delineano come fondamenti di un cinema di (disperata) resistenza, volto alla decifrazione di un mondo opaco e indifferente, volgare ed oppressivo, violento in ogni sua manifestazione.

Informazioni sulla prevendita

Le proiezioni sono riservate ai possessori della tessera annuale 2003-2004 (€ 5) del Circolo del Cinema “Effetto Notte” sottoscrivibile presso la biblioteca di Pergine in piazza Serra, la libreria Athena in via C. Battisti a Pergine e la libreria Punto Einaudi in piazza Mostra a Trento

Il mondo di Bresson è un campo di battaglia: il luogo dove quotidianamente si consuma lo scontro frontale e definitivo tra una realtà plumbea e brutale ed una individualità ribelle e pura (un prete di campagna o un condannato a morte, un asino o una ragazzina,…); il luogo di un metafisico, apocalittico contrasto tra il Male e la Grazia. In questo mondo che ha definitivamente smarrito il senso ed il valore del sacro, si consuma ogni giorno il dramma ancestrale della cancellazione dell'innocenza. Isolato, ripudiato, escluso, portatore di una spiritualità dolorosa, di un'interiore esigenza di autenticità che solo nella negazione e nella sofferenza può trovare la Grazia, l'uomo di Bresson è un prigioniero del mondo: un recluso, ridotto in spazi angusti e soffocanti (la casa di Agnes in Perfidia, quella del curato nel Diario di un curato di campagna; la stanzetta del ladro Michel in Pickpocket; la baracca di Mouchette; lo studio di Jacques in Quattro notti di un sognatore), spesso dichiaratamente imprigionato (Therese ne La conversa di Belfort, Fontaine nel Condannato a morte, Giovanna nel Processo di Giovanna d'Arco, l'operaio Yvon ne L'argent) o preso in trappola (la casa in cui viene stuprata Marie in Au Hazard Balthazar; le allegorie venatorie di Mouchette). Ma l'eroe di Bresson è un prigioniero/nomade, paralizzato, invischiato nella volgare ottusità del reale e insieme posseduto dal demone di un'erranza scossa, di un irrequieto vagabondare, tracciato lungo la linea di un'insopprimibile ansia di liberazione. Le strade fangose della provincia rurale, battute dal macerato prete di campagna, dall'asinello Balthazhar, da Mouchette che si perde nella foresta; i cortili recintati della fortezza, percorsi con gli occhi, studiati in ogni minimo dettaglio nelle camminate quotidiane del condannato; infine la città, caotica in Pickpocket, onirica ed acquatica in Quattro notti di un sognatore, indifferente in Il diavolo probabilmente… e in L'argent. In questi luoghi privi di Grazia, territori opachi, ciechi, posseduti dalla violenza e dall'odio (potentemente raffigurati negli spazi demitizzati, concreti, perfino meschini di Lancillotto e Ginevra), si muove l'eroe/nomade di Bresson, misurandone l'entropia dei valori. A guidarlo attraverso lo sfacelo morale e storico della modernità - di cui sconterà l'orrore - saranno una ferma, inespressiva disperazione, i percorsi tracciati dal Caso, la definitiva indecifrabilità dell'esistenza ("Il vento soffia dove vuole" recita il versetto giovanneo recapitato al condannato a morte dal Pastore Deleyris ).
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organizzazione: Circolo del cinema "Effetto notte"