Lo stato russo e i conflitti congelati
Interviene Davide Zaffi. Introduce Massimo Libardi.
La fine della Guerra fredda è coincisa con lo scoppio, nella periferia dell’Unione Sovietica, di una serie di conflitti locali che fino ad oggi non hanno trovato una soluzione politica. Poiché però da tempo non avvengono neppure combattimenti su larga scala, i conflitti in parola sono definiti semplicemente “congelati”. Tre di essi sono localizzati nel Caucaso meridionale (Abkhazia e Ossezia del sud in Georgia; Nagorno-Karabakh in Azerbaigian), uno nell’area del Mar Nero (Transnistria, in Moldova). Potrebbe considerarsi sulla via di un analogo congelamento anche il conflitto nel Donbass, nonostante quest’ultimo si distingua dagli altri per vari fattori, uno dei quali è l’assenza di soldati russi con funzioni di peace keeping nelle zone contestate. In effetti Mosca gioca un pesante ruolo, non sempre facile da decifrare, in tutti i conflitti appena menzionati.
Dopo una breve esposizione sulla situazione attuale,Davide Zaffi si concentrerà sull’analisi del comportamento tenuto dal governo russo di fronte ai conflitti congelati. Per molto tempo, durante questo quarto di secolo, osservatori occidentali si sono chiesti quale fosse la soluzione patrocinata da Mosca, come pensasse uscire dalla posizione di stallo, in cui in fondo è anch’essa invischiata. Nell’impostare in questo modo il problema, che può sembrare il più logico, si rischia di perdere di vista il fatto che la logica varia col variare delle culture e che anche le decisioni politiche si prendono su una determinata base culturale. La tesi che si proverà a valutare è che l’atteggiamento della Russia ufficiale verso i conflitti congelati, il cui disgelo senza dubbio dipende in gran parte dalla Russia stessa, è ispirato da una cultura politica tipica di un impero e non di uno stato nazionale o, il che è lo stesso, di uno stato moderno.
organizzazione: Csseo