Quando gli uomini cadevano come foglie

Incontri e convegni , Presentazione libro

Il libro “Quando gli uomini cadevano come foglie” racconta la storia di un piccolo villaggio di montagna negli anni terribili della Prima Guerra Mondiale. Gli eventi di quegli anni, che hanno sconvolto prima l’Europa e poi il mondo, hanno deciso drammaticamente la sorte di decine di milioni di persone, tra combattenti e civili, hanno determinato sconvolgimenti politici e istituzionali, hanno accelerato processi economici e sociali di enorme portata. Nella massa umana coinvolta nel conflitto, rischia di perdersi ogni individualità: se si sfogliano i libri di storia e le centinaia di migliaia di pagine scritte sulle ragioni della guerra, sui suoi caratteri originali, sul logoramento prodotto dalle trincee, sulle innovazioni tecnologiche introdotte, sull’indotto economico e industriale da essa determinato o sulla crisi morale, sociale ed economica in cui l’Europa si trova sprofondata alla sua conclusione, nulla si trova che renda giustizia dei milioni di vite stroncate nel pieno del loro vigore, delle centinaia di migliaia di famiglie che vedono distrutta, senza preavviso, la loro integrità. Si può rimanere inorriditi davanti all’imponenza del numero delle vittime, che, non a caso, ha avuto un impatto psicologico senza precedenti sulla società europea e che, nonostante nei decenni successivi si siano verificati conflitti e tragedie molto peggiori, non si è più ripetuto. E tuttavia l’ordine spropositato del numero provoca, a causa dell’anonimato in cui sono confinate le vittime, l’effetto paradossale di rendere impossibile l’avvertire sulla propria pelle il dramma vero, reale delle donne e degli uomini che cento anni fa hanno avuto in sorte di vivere quella terrificante esperienza. Lo ha detto bene Guerrino Botteri, soldato giudicariese in Galizia e autore di un diario in cui ci ha lasciato la testimonianza della sua esperienza di guerra:

La guerra moderna ha questo di spaventosamente triste: l'individualità sparisce, si diventa gocce d'una fiumana di lava che lentamente, con moto fatale si spinge in avanti, s'arresta, retrocede: le gocce non contano nulla: se una si ferma, s'agghiaccia, si perde, nessuno ci bada: se quella goccia stride, cigola, prima di spegnersi, il suo grido è sopraffatto dal cigolio spumoso, enorme del fiume.

In quelle parole ho sempre avvertito, oltre che il sentimento che la tragedia incombente produce nell’animo del soldato al fronte, una urgente richiesta di giustizia che ci arriva dalle migliaia di voci disperse nei campi di battaglia, nelle trincee, negli ospedali militari, in ogni luogo, insomma, dove abbiano smesso, improvvisamente, di parlare. In ognuna delle nostre case, inoltre, è conservata almeno una fotografia di qualche nonno, zio o parente in divisa austro-ungarica, rigorosamente ripreso in posa o da solo o in gruppo con qualche altro commilitone. Quelle fotografie erano per lo più cartoline spedite alle madri, alle mogli, alle fidanzate, nella speranza di poterle presto riabbracciare. Molti di quei soldati hanno vista delusa questa speranza. Guardando quelle fotografie, soprattutto di coloro che non sono tornati, ho sempre avvertito il desiderio di dare un nome a quei volti, di sapere qualcosa di più di loro, di quella loro vita che la guerra aveva stroncato, della famiglia che avevano lasciato dietro di sé, quando erano partiti per il fronte della Galizia. Quelle voci chiedono di essere riascoltate, quei volti vogliono essere riconosciuti.
É quello che ho cercato di fare nelle pagine di questo libro. Sono ventinove i caduti di Ragoli nella Grande Guerra: giovani uomini costretti, cento anni fa, a lasciare improvvisamente la loro vita, la loro famiglia, le loro aspirazioni. Ventinove voci da riascoltare, ventinove volti da riconoscere. Non di tutti la voce o il volto ci sono stati restituiti dalle fonti e dai documenti. Di tutti, però, ho voluto raccontare, anche se per frammenti, la storia. Sono microstorie di uomini comuni - contadini, operai a giornata, arrotini, vetturali, artigiani - costretti loro malgrado a diventare soldati. Uomini il cui sacrificio estremo ha causato un dolore incolmabile nelle loro famiglie e nella comunità e il cui ricordo è stato reso difficile dalle nuove circostanze politiche, determinate dall’esito del lungo conflitto. La ricostruzione delle loro vite e della loro morte - anche quando ho dovuto colmare qualche lacuna documentaria, fornendo solo delle supposizioni - è un modo per restituire loro la dignità di cui la guerra li ha privati.
Un libro di storia, oltre che a ricostruire un passato più o meno lontano, serve sempre anche a immaginare un futuro possibile. In questo libro scoprirete anche la storia - tanto banale quanto tragica - di Costantino, il trentesimo e il più giovane dei caduti di Ragoli, morto a causa delle ferite provocate da un ordigno militare disperso sul terreno. Il futuro è per me quello di un mondo in cui i bambini possano giocare in un prato senza rischiare di morire per una bomba inesplosa. Un’altra storia deve essere possibile.

Renato Paoli


organizzazione: Centro Studi Judicaria