Un Uomo Felice
Regia di Tristan Séguéla
In una cittadina del Pais-de-Calais, estremo nord della Francia, il non più giovane sindaco conservatore Jean Leroy è pronto a ripresentarsi ai suoi elettori e a governare per il terzo mandato di fila. Una sorpresa inaspettata, però, mette a repentaglio la sua vita pubblica e privata: la moglie Edith, dopo anni di matrimonio e fedeltà, ha iniziato la transizione per diventare uomo. Incapace di accettare la decisione della moglie - che ha seppellito biancheria e vestiti femminili, indossa baffi finti e chiede di essere chiamata Eddy - Jean dovrà mettere in discussione idee e preconcetti e trovare il modo, tra la casa, la piazza e i luoghi del suo potere, di venire a patti con una nuova vita.
La tipica commedia francese "con Fabrice Luchini", quasi un sottogenere del cinema popolare francese, insegue i tempi che corrono e prova a sondare la reazione al nuovo delle classi più abbienti e tradizionaliste.
Che la commedia, fra tutti i generi, sia quello più ricettivo all'aria dei tempi non è certo una novità. E che, ancora, sia anche il genere capace più di tutti di giocare con i ruoli e le identità sessuali, divertendosi spesso e volentieri a ribaltarne i rapporti di forza (è un po' scontato citare Howard Hawks, ma in questi casi il cinema di Hawks dovrebbe funzionare da unico modello possibile), è forse ancora più scontato. Per cui un'operazione come Un uomo felice, che porta nel paesaggio della provincia francese temi come la transessualità e la disforia di genere mettendo in crisi la tipica figura maschio "alla Fabrice Luchini" (cioè arrogante e ottuso, ma in fondo buono e umanissimo), non suscita alcuna sorpresa o scandalo; al massimo funziona come semplice adattamento di mode culturali a modelli narrativi consolidati.
Del resto, il discorso di fondo è ancora quello che più di dieci anni fa caratterizzava Potiche - La bella statuina di François Ozon, in cui lo "scandalo" non era di natura sessuale ma imprenditoriale: il maschio mal acconsente al mutamento dello status quo e non sa accettare che tocchi alle donne cambiare le regole del gioco. Anzi, in Un uomo felice, è proprio la centralità del personaggio maschile, giustamente ridicolizzatoe messo alle strette (ma alla fine c'è speranza per tutti...), a confermare la vecchia morale per cui ogni mutamento, anche il più difficile da accettare, in fondo non è che un altro modo per ristabilire l'ordine delle cose...
Nel film di Tristan Séguéla, scritto da Guy Laurent e Isabelle Lazard, il solo personaggio approfondito è proprio quello di Jean, il maschio potente e retrogrado che fatica ad accettare la transizione della moglie (e Luchini è ovviamente perfetto), mentre la figura di Edith/Eddy (interpretata dall'altrettanto infallibile Catherine Frot), la cui trasformazione viene data per fatta fin dall'inizio- senza traumi o strappi, ma come punto finale di un percorso doloroso di cui non si sa nulla - resta inesplorata, se non addirittura pretestuosa.
E non basta abdicare per un attimo alle assurdità tipiche della commedia (basti vedere il buffo racconto della campagna elettorale di Jean, con le due spalle-macchietta interpretate dai comici Philippe Katerine e Artus), inserendo a scopo educativo la scena quasi documentaristica del gruppo d'aiuto per persone trans (in cui Edith, che in teoria dovrebbe sapere tutto, viene guidata come una novellina), per dimostrare che la scelta di una tema sensibile e delicato non sia semplicemente un mero adeguamento alle regole più o meno scritte dello spettacolo contemporaneo.