Willy Verginer. In hoc signo
Willy Verginer. In hoc signo
a cura di Luigi Meneghelli
Otto sculture lignee, lavorate a tutto tondo, a tutto rilievo, che si ergono con le loro masse e i loro volumi, con il peso della loro materia nello spazio in cui sono collocate. Otto forme che in molti casi sembrano concentrate su di sè e sul proprio sistema interno di relazioni formali e di significati, come nella tradizione della grande statuaria antica e moderna. Ma la manualità decisa, anzi la lotta serrata con cui Willy Verginer (Bressanone, 1957) provoca o accarezza il legno non consegue un che di arcaico o di ieratico: egli non fa statue, totem o menhir, ma immagini in azione, in cui affiorano ancora i segni della sgorbia, della pialla, della raspa: tutti attrezzi dai nomi così duri e corti che chi ha buon occhio li sente ancora lavorare (G. Bachelard).
I suoi personaggi, sempre ad altezza naturale, non hanno riconoscibilità, connotazioni, ma vivono in una sorta di dimensione astratta. Eretti senza essere monumentali, sublimi senza essere eroici. Per attirare l'attenzione su di sè, essi non hanno a disposizione che le loro pose: gesti minimi, al limite del banale e dell'insignificante, ma anche gesti che fanno degli sforzi estremi per esprimersi, per comunicare oltre la loro fisicità.
Essi trasportano la scultura su un altro piano di realtà: sono solidi che come la terra trovano il loro moto, la loro vita nell'atmosfera che gli gira attorno. Tanto che ogni figura è una e molteplice, singola e irradiata oltre i propri limiti, quasi a costituire una sorta di magica installazione. E ad accentuare questo senso di dilatazione, di protensione visiva intervengono anche gli sguardi dei personaggi che scrutano unicamente il vuoto: anzi quella che potrebbe essere una cecità, una visività negata, sviluppa le potenzialità implicite, il racconto che ogni immagine porta in sè. E poi c'è l'azzardo della pittura: anche il colore infatti non blocca la narrazione ma la sovverte, non caratterizza volti, corpi, vestiti, ma zone, aree, quasi a voler suggerire inattese analogie, impreviste simmetrie spaziali. In questa mostra Verginer riduce il proprio prontuario cromatico alla nudità del legno e alla velatura del grigio-viola, cioè al confronto tra la luce e l'ombra, tra l'occultamento e la rivelazione. Solo che le parti si scambiano continuamente di posto: la tenebra fa aggallare la luce e la luce si ammanta di oscurità.
Quale il confine? Quale il segreto del legno (o meglio della figura di legno)? Qual è il vero spazio-tempo di questi corpi illusivi? Quale il loro Segno? Luigi Meneghelli
organizzazione: Arte Boccanera Contemporanea