riVIVERE
9 e 10 febbraio 1955
La prima metropolitana italiana
Roma. Il 9 febbraio 1955 viene inaugurata la prima metropolitana italiana con il taglio del nastro alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi e il cardinale vicario di Roma Clemente Micara. Il 10 febbraio 1955 prende ufficialmente via il servizio di trasporto pubblico. La città che più al mondo conserva un mondo sotterraneo è stata la prima a organizzarsi per il trasporto veloce: sessantasei anni fa la stazione Termini di Roma viene collegata all’appena nato quartiere dell’EUR (Esposizione Universale Roma) e ancora oggi la Metro B, ‘la blu’, è frequentatissima, visto anche l’allungamento attuato nel 1990 verso Rebibbia. In realtà la costruzione, voluta sotto il regime fascista, avrebbe dovuto essere pronta nel 1942 per quell’Esposizione universale di Roma che non si tenne mai vista l’entrata in guerra dell’Italia, fatto sta che il tunnel venne trasformato in rifugio antiaereo, e i lavori ripresero solo nel 1948 per concludersi con molte difficoltà nel 1955. Roma rientrò, seppur in ritardo, nel dibattito urbanistico internazionale che vedeva tutte le grandi città portare il trasporto delle persone su ferro, come spina dorsale di un moderno concetto di mobilità. I tram sopra la terra, la metropolitana sotto la terra creavano un groviglio di vie percorribili in fretta promettendo più tempo libero ai cittadini. Forse non è andata proprio così ma abbiamo piacere di ricordare questa data pensando allo stupore con cui venne accolta quella nuova arteria, ai sentimenti dei cittadini che ogni quattro minuti potevano salire su un vettore e andare in velocità da un’area all’altra dell’urbe. Ecco ci piace pensare allo ‘stupore’.
Di stupore si può parlare anche quando si legge Un giardino sotto terra di JO Seonkyeong pubblicato nel 2008 da Jaca Book (con traduzione dall’originale coreano in francese di YANG Jung-Hee e dal francese di Nathalie Scholz).
Il Signor Moss, protagonista di questo albo che si ispira ad una storia realmente accaduta nella rete underground newyorkese, inizia a lavorare di sera: fa lo spazzino in metropolitana. Il Signor Moss è un uomo dalla bassa statura, con un grande naso e una misura dei piedi sproporzionata. Il suo sguardo rivela una sorta di lontananza, come una leggera malinconia, ma anche freschezza di ingegno. Il Signor Moss svolge il suo lavoro con diligenza e non capisce come mai un cattivo odore aleggi nei tunnel nonostante le fatiche. Ma finalmente il Signor Moss trova un’idea, forse sollecitata dai tanti libri che alloggiano nella sua casa, e dove prima c’era la sporcizia pianta un seme di un albero rampicante, che cresce, cresce e cresce. Un piccolo gesto, consapevole, può trasformare una realtà in un’altra, basta averne cura e darle tempo.
L’albo è delicato e poetico e capace di traghettare il lettore in una dimensione fiabesca che sa di realismo magico: quella particolare atmosfera per cui tutto sembra irreale ma possibile. Colpisce la figura del protagonista che con naturalezza veste i panni di una persona consapevolmente sicura della propria identità mostrando come contino poco le apparenze. Le tavole del coreano JO Seonkyeong sono pittoriche e alla pittura si rifanno non solo per la stesura dei colori ma anche per i riferimenti stilistici: nella folla dei passeggeri, a più riprese, si intravede lo stile di Pablo Picasso, quello del periodo di Les demoiselles d’Avignon, dell’inizio del Novecento, certo più plastico ma sicuramente consonante. Anzi in un personaggio sembra di ritrovare quasi un ritratto del pittore spagnolo, che si può pensare l’illustratore abbia visto al MoMa di New York durante i suoi studi americani.
E visto che si è accennato al MoMa, il Museum of Modern Art di New York, e si sta parlando di metropolitane è quasi impossibile non parlare di La grande mappa della metropolitana di New York di Emiliano Ponzi per MoMa edizioni (2017) e Fatatrac (2018).
Dalla pittura si passa alla grafica e al disegno digitale, d’altra parte si racconta proprio di un designer, Massimo Vignelli (1931-2014), l’ideatore di tantissimi marchi che tutti conosciamo: United colors of Benetton, Cinzano, Lancia, Poltrona Frau, Telegiornale Rai 2 e tanti tanti altri.La grande mappa della metropolitana di New York è una biografia, romanzata, dell’artista che da Milano volò nella Grande Mela per fondare uno studio di design. Nel 1972 ricevette il compito di ridisegnare la mappa newyorkese della rete viaria sotterranea: “centinaia di stazioni, diciotto linee diverse, un milione di modi in cui perdersi”. Ma l’albo non è una semplice successione di eventi biografici, l’autore, sia del testo sia delle illustrazioni, trascina il lettore nel modo di pensare del designer milanese, mettendo su carta, con estrema semplicità, il suo metodo professionale: osservare, guardare, osservare ancora, “vedere tutto da una nuova prospettiva” ed eliminare tutto il superfluo.
Emiliano Ponzi ha una poetica simile: lavora per sottrazione, creando immagini dalle architetture rigorose che risentono della lezione di “vedere tutto da una nuova prospettiva”. Se si legge l’albo, si nota che le doppie facciate dialogano fra loro: per alcune è più chiaro perché il disegno invade entrambi i campi, per altre la comunicazione è più sottile, perché si gioca tra il dentro e il fuori, come se il lettore cambiasse luogo di osservazione: prima è all’esterno di un’architettura, di un convoglio, della metropolitana, e poi è all’interno, portando la narrazione a muoversi continuamente. Emiliano Ponzi è un disegnatore fra i più importanti a livello mondiale: le sue tavole si trovano nei più importanti colossi editoriali: The New Yorker, The New Yorker Times, PenguinBooks, Felitrinelli e molti altri. Il suo stile molto personale risente delle atmosfere americane degli anni ‘50, e nella raffigurazione delle architetture o dei paesaggi si ritrovano gli artisti statunitensi Edward Hopper e David Hockney come se fossero in filigrana, ma è capace di staccarsene con maestria regalando colori meno densi, più trasparenti, più aerei, ambientazioni più soffuse. La sua tavolazza dai mille colori predilige l’armonia dell’insieme e accade raramente di trovare colori molto accesi: animano le sue composizioni i pastelli, quelli un po’ vintage, le sfumature delicate, i piani che lentamente declinano uno nell’altro.
L’albo In the tube di Alice Barberini pubblicato nel 2020 per Orecchio acerbo inizia subito con un chiaro omaggio al grande illustratore americano David Wiesner e nello specifico a Mr Ubik! Non solo il gatto è fisiognomicamente simile ma anche le ambientazioni così come i punti di osservazione delle scene e il segno - che risente anche di Anthony Browne - dai lievi contorni neri delle figure e delle forme. Ma si ritrova anche Flotsam e Zoom sempre di Wiesner per la resa della narrazione sincopata in riquadri che sembrano montaggi spezzati e la narrazione che è pura cinematografia grafica.
In the tube è un albo senza parole e ‘the tube’ è l’espressione sincopata con la quale si indica la rete ferroviaria sotterranea londinese. Infatti, siamo nella Londra della grande musica pop degli anni Sessanta e Settanta con Elton John, Beatles, The Cure e i Queen e molti altri. Due fratelli, Nick e Blanch, che tenendosi per mano, unica indicazione materna che seguono, vanno alla fermata della metropolitana di Regent’s Park (inaugurata il 10 marzo 1906, 49 anni prima di quella italiana): dovrebbero andare a scuola e invece incomincia la loro avventura. Subito la tensione sale e anche se il testo è assente le illustrazioni sanno restituire tensione e apprensione per quello che accade. Le illustrazioni precise, chiare, asciutte, lavorano sui dettagli e ben presto si capisce che la sorella ha sbagliato ‘berretto rosso’ da seguire. Lo spavento le trasfigura il viso e la narrazione continua tra fraintendimenti, rincorse e sbagli percettivi.
Gli sguardi sono l’elemento centrale di questo libro senza parole: sostituiscono abilmente l’assenza della scrittura. L’albo inizia con lo sguardo sornione del gatto di casa e finisce con lo sguardo sereno di un bambino; ma quasi a metà dell’albo un’immagine coinvolge il lettore in maniera magistrale: un passeggero della metropolitana al centro della tavola fissa lo sguardo verso di noi e ci tira dentro l’angoscia della storia; perché in fondo chi non si è mai perso o a perso qualcuno, chi non ha mai sentito la paura dello smarrimento, chi non ha mai provato la sensazione di ‘perdersi’? Il gioco di sguardi è come uno specchio e rispecchia un probabile vissuto del lettore. E l’immagine seguente, presenta un cartellone pubblicitario con la scritta: “We can be heroes”, quale messaggio sublimare per il piccolo protagonista alla ricerca della sorella smarrita, come quello successivo, “Boys don’t cry” o quello ancora dopo, “Find me somebody to love”, tutte citazioni provenienti dal mondo musicale pop londinese che colpiscono. E se si ritorna indietro ai tanti manifesti presenti nelle illustrazioni, al pari dei post-it, tutti appaiono messaggi. Ai protagonisti. E a noi che guardiamo questo albo: “no entry”, “change the world”… Ma c’è un’altra citazione che apre e chiude il libro, il poster del film di fantascienza E.T. l’extraterrestre del 1982, quasi a ricordarci la magia di quei strani viaggi nei quali qualcosa di noi cambia per sempre.
10/02/2021