"T-essere memoria"
Gesti ancestrali, come quello del tessere o del preparare il cibo, permettono al malato di Alzheimer di ristabilire un ponte con il proprio passato
Luisa Moser ci racconta il progetto di collaborazione tra la Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento e l'Apsp M. Grazioli di Povo: l'archeologia può contribuire al benessere degli ammalati di Alzheimer.
"Il primo incontro, è stato finalizzato alla conoscenza reciproca, momento indispensabile per prendere confidenza ed instaurare un rapporto di fiducia sia con l'educatore che con gli altri partecipanti.
Negli incontri successivi, partendo da copie di reperti appositamente selezionati, si è dato ampio spazio all'osservazione, alla manipolazione e alla discussione, in modo da mettere in atto la stimolazione cognitiva e la valorizzazione delle abilità residue.
Ognuno ha potuto toccare, osservare, riconoscere alcuni oggetti, fare supposizioni, cercare di portare a galla ricordi o antichi gesti. “Oggetti ricchi di storia e anche di ricordi” come ha spesso sottolineato Saveria, toccando una tazza di ceramica o la copia di un'ascia in bronzo. Reperti molto semplici, essenziali ma ricchi di significato, utili per stimolare la memoria dei partecipanti.
Attraverso l’interazione diretta con i reperti, si è cercato di sollecitare lo scambio di idee, di far scaturire ricordi ed esperienze personali e di mettere in relazione il proprio vissuto con i materiali e gli oggetti archeologici.
Sono stati inoltre proposti, partendo dalle attività documentate a Fiavé, laboratori di tessitura, lavorazione dell'argilla e preparazione del burro. Tutte le pazienti hanno partecipato volentieri (aspetto non scontato per chi soffre di Alzheimer), si sono messe in gioco, hanno saputo riprodurre, con estrema facilità e grande attenzione antichi gesti, dimostrando come alcune abilità, quali il "saper fare", la manualità e la creatività permangano nonostante la malattia, se adeguatamente sollecitate.
I laboratori pratici sono risultati esperienze stimolanti, emotivamente coinvolgenti e piacevoli, che hanno permesso di accedere a personali memorie e saperi, di potersi mettere in gioco, sperimentare le proprie abilità e anche aumentare la propria autostima.
La visita al Museo delle Palafitte ha concluso il percorso: uscire dalla struttura protetta per andare in un posto nuovo e sconosciuto è stato un momento arricchente e ha assunto anche un valore particolare: “Esco, vado al museo, faccio ancora parte della società... in museo c'è qualcuno che mi attende, mi accoglie, ha strutturato un percorso adatto a me...”.
Il museo è ricco di stimoli: le partecipanti hanno mostrato grande capacità di osservazione, anche di particolari che sfuggono ai più. Si sono sentite a loro agio, libere di muoversi, di esprimersi, di toccare, di fare domande e di veder esaudite le loro curiosità. Il museo ha destato in loro meraviglia: "Non pensavo che fosse così bello, e così grande. Non pensavo che ci fossero tutti questi oggetti”, ha ripetuto più volte Elsa affascinata dalla struttura in legno e dal suo odore. Si sono ben immedesimate nel contesto: quando hanno calpestato il pavimento che simula il fondo lacustre, hanno esclamato: “Oddio, ci bagneremo i piedi.” O davanti alla ricostruzione degli accumuli di “immondizie” dell’antico abitato palafitticolo di Fiavé, si sono soffermate dicendo: “Chissà che odore di marcio che si sentiva.”
Tutte le attività proposte hanno suscitato grande interesse, soprattutto la preparazione del burro e la tessitura, migliorato l’attenzione e la concentrazione, facilitato la socializzazione e favorito l’interazione fisica e la partecipazione: “É stato bello stare insieme” ha detto Rita.
Attraverso gesti ancestrali, come quello del tessere o del preparare il cibo, l'ammalato ha potuto riconoscere attività svolte in passato (Sofia racconta che "È un lavoro che ho già fatto e me lo ricordo, per questo mi è piaciuto"), ripercorrere sentieri antichi e in parte noti, mettere in atto pensieri e riflessioni (Elsa dice “Mi è piaciuto perché aiuta la testa”) e aumentare la propria autostima (Maria Pia ha aggiunto “Non pensavo di essere all'altezza”). Momenti dedicati a laboratori pratici, alla creatività e la visita ad un museo, possono dunque influenzare positivamente la qualità della vita di un paziente affetto da Alzheimer.
L’esperienza fatta ha confermato che il museo, se reso fruibile e “partecipativo” può avere un ruolo sociale e può aiutare nel decorso della malattia a migliorare la qualità di vita dei pazienti ma anche di chi si occupa di loro, i care givers, i quali si trovano a condividere questa devastante patologia.
In autunno il progetto verrà presentato all'interno dei Caffè Alzheimer in collaborazione con l'associazione Alzheimer onlus di Trento. E’ previsto l’avvio di una nuova fase di sperimentazione con altre realtà del territorio e con l'associazione Alteritas Trentino.
Il Gruppo di lavoro che ha seguito il progetto è composto da: Luisa Moser (responsabile dei Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici, Soprintendenza per i beni culturali), Roberto Maestri, Alberta Faes e Emanuela Trentini (animatori, fisioterapista e educatori della APSP di Povo).
05/10/2015