Forte e chiaro
Testimonianze di arte contemporanea
Forte e chiaro è il titolo, nonché il concept, della nuova esposizione di arte contemporanea che si cala nell'allestimento museale permanente di Forte Belvedere.
I fotografi Vittorio e Alessandra Rossi e l'artista Annamaria Targher, in quest’occasione assieme, si confrontano con le imponenti e apparentemente tacite architetture protagoniste del primo conflitto mondiale sugli altipiani: le fortificazioni austro-ungariche.
Il forte come reperto e testimonianza pulsante delle vicissitudini belliche è scandagliato meticolosamente dai tre artisti, anche se con metodologie che sono a loro peculiari e quindi molto differenti l’una dall’altra.
Vittorio e Alessandra Rossi documentano con una chiarezza quasi sbandierata, disarmante, la bellezza muta, autoreferenziale di questi monumenti architettonici concepiti, sì strategicamente, ma anche capaci di un fascino legato alla densità della memoria, così come all’austerità delle forme e alla quasi inalienabilità dei materiali.
L’uso rigoroso del bianco e nero evidenzia da una parte il nitore senza sbavature delle linee architettoniche, mentre, in egual maniera e con vivida persistenza, riesce a riportare alla ribalta la storia dell’usura e dello scorrere del tempo impressi su questi giganti: zoomata efficace, dunque, impietosa, perché realistica, non differibile e senza fronzoli di questi autentici monumenti che li si vorrebbe quasi svuotare dallo stentato ansimare e dalla calda e sanguigna presenza umana dei suoi protagonisti per restituirci una documentazione quanto più chiara possibile: perché inflessibile, senza sconti.
Annamaria Targher, invece, si concentra sull’impiego, durante il conflitto bellico, del telegrafo ottico e, nello specifico delle grandi tele ad olio, sugli affascinanti fasci luminosi che sventravano con il loro chiarore il buio ed il silenzio della notte per creare un’insolita comunicazione visiva.
Parallelamente, degli studi a matita svolti fedelmente al vero, in maniera quasi pedissequa, vengono combusti. Dall’incendio devastante della guerra, vengono salvate queste piccole cartoline, degli intimi cartoncini forse destinati alla corrispondenza: quasi fossero un vezzo dei soldati capaci di estraniarsi dal contesto di guerra per riuscire a documentare l’intrinseca e inconfutabile bellezza di questi massicci. Una terapia di salvataggio estetico direttamente all’interno dell’inferno della guerra che sarebbe stata consegnata, un domani, alla propria famiglia.
Il fuoco della combustione divampa e illumina, in maniera inedita, poco ortodossa, ma poetica un’oggettiva tragedia personale, famigliare e collettiva.
Se i coniugi Rossi colgono l’importanza incombente del crudo monumento, Targher ne smantella dall’interno, col vivo vociare e trambusto dei suoi avventori, le fondamenta, per concentrarsi sul pullulare dell’esistenza a fronte dell’indubbia e sovrana capacità tecnico - costruttiva e sapienza scientifico– architettonica che ispirarono l’edificazione di questi giganti.
Due visioni personalissime, che arditamente affiancate, hanno la pretesa di avvicinarsi, congiungendosi, quanto più possibile alla realtà e ad una sua chiara visione e presa d’atto.