Palazzo Geremia
Oggi prestigiosa sede comunale insieme a Palazzo Thun, è forse il più insigne edificio di carattere privato del centro storico
Sorge nella via più bella del centro storico, ampia e regolare, fiancheggiata da case di nobile architettura e da severi palazzi, alcuni dei quali dotati di vivaci facciate dipinte nei secoli XV e XVI. Denominata in antico Via Larga, porta oggi il nome di Rodolfo Belenzani, capitano del popolo trentino e difensore delle prerogative civiche in funzione antivescovile e capo di una rivolta (1407) conclusasi con un fallimento e due anni dopo con la sua morte. Era parte del percorso che nei secoli passati, in occasione dei cortei solenni, collegava la cattedrale e la residenza dei vescovi, il Castello del Buonconsiglio, attraverso le attuali via Manci e via San Marco.
Palazzo Geremia, oggi prestigiosa sede comunale insieme a Palazzo Thun situato di fronte sull’altro lato della strada, è forse il più insigne edificio di carattere privato del centro storico. Fu costruito alla fine del secolo XV e completato all’esordio di quello seguente per iniziativa di Giovanni Antonio Pona, figlio di Geremia Pona e detto “Geremia”: era uno dei più ricchi e influenti cittadini di Trento, molto vicino alla dinastia di Casa d’Austria e a re Massimiliano. I Pona si imparentarono in questo torno di tempo con gli a Prato, tra le famiglie più in vista in città. Lo compongono tre corpi di fabbrica divisi da due cortili interni e disposti fra via Belenzani e la via delle Orfane. La porzione maggiore, di puro carattere rinascimentale, affacciata sulla via Belenzani, ha al centro dell’armoniosa facciata un portale di pietra rossa, con un piccolo stemma Pona nell’arco, sormontato da due quadrifore; queste illuminano due spaziosi e profondi saloni “passanti” ai piani nobili, secondo l’uso veneto. La deperita (pur dopo il restauro conclusosi nel 1993) decorazione ad affresco riveste tutto il prospetto componendo essa stessa un’armonica architettura rinascimentale - perfettamente equilibrata e integrata con quella reale - ripartita in tre fasce orizzontali divise da fregi; è riferibile a un valente pittore veneto, vicino allo stile di Bartolomeo Montagna e agli anni intorno al 1502-1504. Raffigura, in basso, un gigantesco guardaportone armato di alabarda che sorveglia il portale (un altro doveva essere dipinto in origine sull’altro lato), mentre sulla sinistra è l’immagine allegorica della Ruota della Fortuna che, girando, porta in alto al successo gli esseri umani (impersonati qui da figure femminili) e poi li fa precipitare a capofitto. In modo simile quindi a quanto si vede nel rosone (sec. XIII) sulla parete del Duomo verso la piazza. Sopra l’ingresso è un dipinto molto sbiadito con una Madonna con il Bambino fra due santi: Giovanni Battista (santo protettore del Pona) e Antonio abate.
Il primo piano raffigura, a sinistra, in un interno, la vittoriosa lotta di un uomo con un leone alla presenza di alcuni dignitari: rievocazione della battaglia di Calliano (1487) in cui truppe trentine e imperiali sconfissero i Veneziani. L’uomo in lotta è Giorgio di Pietrapiana (Joerg von Ebenstein), comandante delle milizie trentine. Poco lontano è un episodio leggendario dell’antica Roma repubblicana, con Marco Curzio a cavallo che sacrifica la vita per la salvezza della patria gettandosi in una voragine. A destra della quadrifora è un altro coraggioso eroe romano, Muzio Scevola, che pone la mano sul fuoco davanti al nemico re Porsenna. Un altro episodio di “storia” romana, quasi illeggibile, è all’estremità di destra. Si tratta forse della vicenda di Tarquinio e Lucrezia, con la donna che si toglie la vita dopo aver subito violenza da parte del re Tarquinio; oppure del console Manio Curio Dentato, prototipo del romano antico grazie al valore militare e all’ integrità di vita. Sopra la quadrifora centrale sono dipinti in rosso tre tondi; in quello a sinistra si leggono a fatica le figure di Apollo, che suona in piedi la lira e di Pan, seduto sul terreno che suona la siringa, uno strumento a fiato. Appena sopra compare entro un’elaborata cornice dipinta lo stemma Pona Geremia (descrivibile, in breve, come un braccio destro alzato, armato di pugnale, in campo azzurro). Meglio conservato è il registro superiore della facciata, dedicato in tutta la sua estensione a celebrare la memoria della presenza a Trento di Massimiliano d’Asburgo nel mese di ottobre dell’anno 1501: uno spettacolare omaggio al re, che non ha eguali per qualità pittorica e dimensioni, ancor prima che ricevesse il titolo imperiale (1508), da parte di un cittadino di Trento, quale il Geremia, appartenente all’entourage di Massimiliano. Sotto un finto, aereo loggiato rinascimentale, coperto da un soffitto ligneo e aperto sullo sfondo, si susseguono quattro episodi dal vivace piglio narrativo in cui il re è alla presenza di notabili in contesti di solenne ufficialità; vi si rievoca in quattro raffigurazioni il ricevimento dei ceti più elevati della città, la magnanimità del sovrano che ascolta tutti con benevolenza (come dichiara l’iscrizione latina nel fregio appena sopra il Marco Curzio); inoltre, e soprattutto, l’ importante incontro avvenuto a Trento nel mese di ottobre del 1501 con la missione diplomatica guidata dal cardinale Georges d’Ambois, plenipotenziario del re di Francia. Alla solennità festosa dell’avvenimento fanno riferimento gli addobbi e in particolare i sei tappeti turchi di pregio esposti sulle balaustre.Questa facciata affrescata fu, per quanto oggi si conosce, la prima in ordine di tempo di carattere pienamente rinascimentale fra le numerose realizzate a Trento fra Quattrocento e Cinquecento: una sorta di prestigioso “manifesto” del nuovo stile umanistico che, in accezione veneta, si stava ormai diffondendo anche nei territori all’interno delle Alpi.
L’atrio d’ingresso ha ancora l’antico soffitto a travi di legno, decorato con numerose tavolette dipinte, ben 84 superstiti, con teste maschili e femminili, grottesche, vegetali e stemmi di famiglie nobili trentine come Pona Geremia, a Prato, Calepini, Mirana; qui è l’antica scala di pietra che conduce al piano superiore. La porta subito a sinistra introduce invece a un ambiente a pian terreno provvisto di un camino scolpito con girali e sovrastato da una cappa affrescata, con medaglioni di imperatori romani (Nerva e Ottone) dipinti sui lati. Complessa è la raffigurazione sulla parete frontale: un forte guerriero con l’aspetto di un soldato romano, seduto su una corazza mostra uno scudo con lo stemma Pona, mentre una dama elegantissima dal corpo flessuoso, abbigliata con un costume del Nord, forse alludente alla Casa d’Austria - gli pone sul capo un elmo con il medesimo stemma nel cimiero. L’affresco può alludere al “miglioramento” dello stemma concesso dal re il 10 ottobre 1501. Oltre il portale è un altro androne, aperto sul cortile con una loggia a tre arcate; qui sono visibili i resti di un fregio affrescato, tavolette sul soffitto, alcuni stemmi fra cui l’aquila nera di Massimiliano d’Asburgo e lo stemma Lichtenstein, omaggio al principe vescovo del tempo Udalrico di Lichtenstein (1493-1505). Al primo piano è il vasto salone principale, ornato con un fregio di notevole bellezza, solo in piccola parte conservato, attribuibile al veronese Giovanni Maria Falconetto, che corre sotto il soffitto; dipinto a monocromo grigio su fondo azzurro, mostra accanto all’emblema di re Massimiliano vigorose teste di imperatori romani. Altri fregi di ambito veronese, con animali, fogliami, creature e divinità marine, sono nel salone soprastante, al secondo piano, e nel corpo di fabbrica interno nella cosiddetta “Sala Falconetto”. Le vicende conservative del palazzo sono piuttosto complesse. Dopo l’acquisto da parte del Comune (1912) dalla famiglia Podetti, allora proprietaria, un primo restauro degli affreschi in facciata ebbe luogo nel 1940; un secondo nel 1959; un altro nel 1973. L’ultimo, come si è detto, venne concluso nel 1993. E’ ora necessario un nuovo intervento conservativo. Dopo i complessi lavori di recupero durati dal 1986 al 1993, che fra l’altro portarono in luce importanti affreschi all’interno, il palazzo divenne sede di rappresentanza del Comune di Trento.
Per saperne di più: Ezio Chini, Case affrescate a Trento nel periodo rinascimentale, in Enrico Castelnuovo (a cura di), Luochi della Luna, Trento 1988; Michelangelo Lupo, Palazzo Geremia a Trento. Studi per un restauro, Trento 1990; Idem, Palazzo Geremia a Trento. Nuovi studi, Trento 2004; Ezio Chini, La pittura dal Rinascimento al Settecento, in Storia del Trentino, vol. IV. L’età moderna. Ed. ITC, 2002.
(1950), storico dell'arte, si laurea con Mina Gregori all'Università di Firenze (1975). Dal 1978 al 2010 ricopre l'incarico di funzionario della Provincia Autonoma di Trento e nell’ambito dell’Assessorato alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento gli vengono affidati i seguenti incarichi di carattere direttivo: coordinamento dell’attività di catalogazione del patrimonio artistico del Trentino (1978-1982); direzione restauri opere mobili ed affreschi (1981-1987; 1999-2003); direzione (come sostituto) del Museo Provinciale d’Arte, Castello del Buonconsiglio (1988-1990); direttore di Divisione, settore storico-artistico, Castello del Buonconsiglio, dal novembre 2003. È autore di circa 250 pubblicazioni, sull’arte a Firenze, nel Veneto, in Lombardia e soprattutto in Trentino, con particolare riferimento ai secoli XVI-XVIII, al Castello del Buonconsiglio e ai pittori Girolamo Romanino, Marcello Fogolino, Dosso e Battista Dossi. È organizzatore di numerose mostre, fra cui Dipinti su tela. Restauri (1983); Girolamo Romanino (2006;in collab. con L. Camerlengo, F. Frangi, F. de Gramatica); L’arte riscoperta (2000; in collab. con P. Pizzamano ed E. Mich). È socio dell’Accademia degli Agiati, della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche e di Italia Nostra (membro della Direzione). Nell’ambito di Italia Nostra - Sezione di Trento, coordina dal 2017 il progetto Trento città dipinta. Un patrimonio da salvare. È Delegato regionale alla valorizzazione nell'ambito della Delegazione Fai di Trento.
31/01/2019